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Paradigma politico istituente e giudizio storico

La ricerca di e in un paradigma politico istituente incrocia la riflessione nel giudizio storico nella prospettiva, complessa e profonda, di comprensione per il governo dei processi storici. Queste dimensioni, parte di una unica che chiamiamo “progetto di civiltà”, sono consunstanziali e non hanno potenzialità se separate.

Con Roberto Esposito, citiamo altri due autori  che ci sembrano aprire strade di grande interesse.

Raimon Panikkar (La pienezza dell’uomo. Una cristofania, Jaca Book, Milano 2003, p. 20) scrive: Sono convinto (…) che il mondo si trovi dinanzi a un dilemma di proporzioni planetarie: o avviene un cambio radicale di “civiltà”, nel senso dell’humanum, o una catastrofe di proporzioni cosmiche. Questo porta a vedere nell’interculturalità un primo passo verso una metanoia pregna di speranza.

Edgar Morin (La via. Per l’avvenire dell’umanità, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 41) nota: La politica di civiltà dovrebbe esercitarsi contro gli effetti negativi dello sviluppo della nostra civiltà occidentale, pur sviluppandone i suoi effetti positivi. Ciò non dovrebbe essere limitato alle società occidentali; ciò vale anche per tutte le parti occidentalizzate del mondo. Il problema posto dalla nostra civiltà è di estrema complessità, perché essa nasconde in modo complementare tratti eccezionalmente positivi ed eccezionalmente negativi.

Va da sé che la ricerca istituente, fondamentale, del “politico” non può che calarsi nella realtà “carne e sangue” che ogni essere umano vive, gioendone o soffrendone. Altrettanto, le sorti del mondo, che dipendono da un nostro agire responsabile di “ciascuno irripetibile” nel complesso dell’umano e del vivente, condizionano un percorso che, particolarmente oggi, necessita di un approccio strategico per (ri)trovare senso e significato.

Panikkar e Morin ci invitano a percorrere l’oltre nella nostra vita e l’ “oltre politico” è nell’istituir(ci) in chiave necessariamente conflittuale. Come non esistono solo positività o solo rischi, altrettanto l’ordine non può che evolvere nel disordine di realtà.

Ritroviamo, in questi tre autori (e in altri), richiami a un realismo effettivo ed efficace che, per essere tale, non può essere declinato né in termini di un appiattimento totale sulla superficialità di realtà né, tanto meno, sul rifiuto delle conflittualità, delle contraddittorietà e delle imprevedibilità che sono parte integrante della realtà stessa.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e fra gli Stati, Link Campus University)

 



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