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Export? Dal governo solo bruscolini. Parola di Gustavo Piga

L’export è stato in questi anni l’unica componente del pil che ha mostrato un trend positivo. L’obiettivo del governo era di raggiungere la quota di 500 miliardi di euro per le nostre esportazioni per il 2020, ma la psicosi del coronavirus sta mettendo a dura prova le nostre imprese. In più bisogna segnalare il dato di dicembre dell’Istat che segna -0,9% che potrebbe suonare come un campanello d’allarme.  “Ma nel complesso il 2019 è stato un anno positivo per l’export con una crescita del 2,3%” – spiega in quest’intervista a Formiche net Gustavo Piga, professore di Economia Politica all’Università Tor Vergata di Roma – “certo adesso con la psicosi da coronavirus c’è da aspettarsi numeri molto più bassi, quello che però possiamo dire senza alcun dubbio è che quest’Italia fino ad ora si è salvata solo grazie all’export e alle aziende che hanno puntato sui mercati esteri”.

Quindi tutto bene?

Fino a un certo punto, perché rischiamo di essere, noi come l’Europa, un Paese d’argilla che dipende dal battito d’ali di quanto succede dall’altra parte del mondo. Lo conferma il fatto che quella poca crescita italiana nel 2019 si è realizzata grazie ad un export in Cina del 21%, non oso immaginare cosa succederà adesso con questa psicosi dovuta al coronavirus.

Quale è il problema?

Che l’Italia, insieme alla Grecia non è ancora riuscita a raggiungere il livello di produttività che aveva nel 2007, prima della grande crisi. Siamo ancora a -4,1% rispetto a quell’anno, a salvarci è stato solo l’export che in questo decennio è cresciuto di quasi il 15%. Quello che è mancato al Paese è la ripresa dei consumi interni con il dramma del livello degli investimenti pubblici diminuiti del 18%. Un dato che ha al suo interno un altro numero inquietante il -33% degli investimenti in costruzioni, un vero e proprio crollo che poi era diretto anche a quelle persone meno abbienti che si sono ancora di più impoverite per la mancanza di lavoro.

Intanto il governo sull’export con il ministro Di Maio ha annunciato un piano da 300 milioni di euro per sostenere le nostre imprese…

Ma ci rendiamo conto che stiamo parlando dello 0,002% del pil? Vogliamo essere seri, per favore. Questi sono dei peanuts, dei bruscolini rispetto al dramma che sta vivendo il nostro Paese in economia, con l’Italia fanalino di coda in Europa con appena lo 0,3% di previsione di crescita per questo anno. D’altra parte si è preferito fare il reddito di cittadinanza, buttando via miliardi, invece di fare un serio piano di investimenti pubblici. Per fortuna i sondaggi dicono chiaramente quello che ha sempre profetizzato Bill Clinton: chi fa male in economia, finisce per morire in politica.

Non la convince neanche l’idea del titolare della Farnesina di indirizzare le politiche per l’export verso i mercati più maturi?

Bisogna intenderci: l’export non è controllato dal governo. Questo dipende semmai dalla bravura degli imprenditori che sì possono avere qualche sostegno dalla Sace Simest piuttosto che dall’Ice per piani di lungo periodo. Ma il governo non muove nulla. In più non abbiamo più il controllo del tasso di cambio, con la svalutazione della lira. Dire che si può incidere o addirittura indirizzare le politiche dell’export verso i mercati maturi mi sembra davvero poco verosimile.

Allora che bisogna fare?

Il governo farebbe bene a controllare ciò che può, magari non distruggendolo come ha fatto fino ad ora. Servirebbe un piano soprattutto per gli investimenti pubblici. Ad esempio, se migliorassimo la nostra rete autostradale ne beneficerebbero tutti, comprese le nostre imprese esportatrici.  Di Maio dovrebbe dire al ministro dell’Economia di concentrarsi su questo per aiutare le nostre imprese a rimanere competitive all’estero. Oggi l’unico strumento che abbiamo per fare una vera politica commerciale sono gli investimenti pubblici che farebbero davvero ripartire l’Azienda Italia.

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