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Politica nell’oltre

Scrive Roberto Esposito (Pensiero istituente, 2020, p. 159): Diversamente dalla concezione che contrappone frontalmente ordine e conflitto, per Lefort l’unità sociale è resa intellegibile precisamente dalla soglia conflittuale che la divide in parti contrapposte. Ma tale effetto istituente della divisione, presente in ogni regime politico, non è a sua volta riconoscibile che alla luce di un orizzonte ontologico, vale a dire di determinati connotati simbolici. Per quanto importanti, le relazioni tra politico, economico e giuridico, tra pubblico e privato o tra legalità e legittimità restano opache fuori da una domanda di fondo sulla cornice simbolica in cui sono situate. Chiunque pratichi, o pensi, la politica, presuppone un rapporto particolare con il suo “essere” nel tempo e nello spazio, nella natura e nella storia, nella vita e nel mondo. E ancora nota l’Autore (op. cit., p. 159): C’è qualcosa, nel politico, di non interpretabile politicamente, perché presuppone una serie di significati meta politici che ne eccedono l’ambito, conferendogli senso.

Su questo ultimo punto introduciamo la nostra riflessione nell’oltre. Chi non siamo noi o ciò che non ci appartiene, i processi che già sono ma che ancora non vediamo (e che, dunque, non viviamo), riguardano il nostro orizzonte di senso e di significato in un “presente storico” che – al contempo – ci comprende e ci supera. È quell’oltre che ci problematizza, (ri)chiamandoci a una responsabilità che non è solo rispetto all’evidente ma anche rispetto all’emergente, che prima o poi diventerà evidente generando altro emergente; tutto questo, naturalmente, sviluppandosi in un circolo infinito e vitale, inarrestabile. Per questa ragione, una politica nell’oltre non può che essere complessa.

La prima critica, in questa prospettiva, va rivolta a quello che chiamiamo “presente imminente”. Il qui-e-ora, infatti, non risolve la complessità della nostra esperienza-in-comune, anzi tende a chiuderla in infiniti “io” assolutizzati e fragilissimi, de-contestualizzandoli e de-vitalizzandoli.

La seconda critica riguarda la fragilità dei localismi. Il “presente storico” è di fatto globale. Lo spazio della politica complessa è in ogni realtà aperta a una dimensione ormai planetaria nella quale emerge un “conflitto istituente” come collante, se compreso in termini politici, tra le differenze che si formano nel mosaico del vivente. Nel guardare al mondo occorre prestare attenzione al fatto che i “conflitti guerreggiati” nascono dalla negazione del conflitto come parte determinante del politico. Non si può cercare l’ordine fuori dal conflitto.  Qui torna decisivo il tema di quali mediazioni per quali visioni.

La terza critica è verso un pensiero e una formazione ancora troppo legati alla settorialità.  Nel seguire l’insegnamento di Edgar Morin, il dato fondamentale è la transdisciplinarità, la contaminazione per la fecondazione delle conoscenze.

Non vi è dubbio che la “politica nell’oltre”, verso un progetto di civiltà, sia la sfida nel cambio di era che stiamo vivendo.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati, Link Campus University)

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