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Dopo Bari per l’Italia ci sono i Popolari radicati nell’idea democratico-cristiana

Di Giancarlo Chiapello

Per il bene comune del nostro Paese è necessario oggi un grande impegno euromediterraneo, ricostruendo un protagonismo del pensiero popolare democratico cristiano che, rinnovandosi e puntando sui giovani formati alla politica insieme, in amicizia cristiana, va portato fuori dalle commemorazioni e dai politicismi. L’intervento di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo nazionale del movimento laico di ispirazione cristiana “Italia Popolare”

Amintore Fanfani, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, nel 1958 dichiara alla Fiera di Bari: “Sia come storico, sia come capo del governo, non posso dimenticare che l’Italia era doppiamente grande quando era consapevole della sua funzione di ponte tra l’Europa e i Paesi del Mediterraneo. L’Italia ha ritrovato oggi questa consapevolezza in un’atmosfera di libertà e di pace”.

Quanto scrive nel 1958, l’allora presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Amintore Fanfani, riassume bene la visione mediterranea, del pensiero popolare delineato da don Luigi Sturzo e della politica estera italiana di impronta democratico cristiana che, già, con Alcide De Gasperi, aveva posto i capisaldi dell’atlantismo e del sogno europeo. Si tratta di una condotta strategica sviluppatasi in linea retta e messa in crisi solamente con l’avvento della fallimentare classe dirigente della cosiddetta “Seconda repubblica” che, nel suo colpo di coda, rappresentato dal tentativo di consolidamento del bipolarismo dell’odio, impostato su un derby eterno tra sovranisti/populisti e radicali/progressisti, sostenuti da curve ultras a cui, purtroppo si sono iscritti i tristi, ideologizzati ed irrilevanti “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”, ognuno su spalti contrapposti ad urlarsi contro, non solo non si pone a difesa dell’integralità della democrazia ma non riesce a ritrovare il bandolo di quella politica estera di cui oggi si sente ancora la mancanza.

Non si tratta di una semplice nostalgia dei bei tempi che furono, certamente ricchi di riconoscimenti per il ruolo internazionale dell’Italia, ma della presa d’atto dell’attualità di quella intuizione, radicata in una precisa visione sociale, quella cristiana, in un mondo multilaterale, ben riassunta da Aldo Moro, che contribuì in maniera determinante alla riforma del 1979 con cui si inserì l’elezione diretta a suffragio universale del Parlamento Europeo (un processo di democratizzazione insito nel pensiero politico radicato nell’idea democratico cristiana che è urgente riprendere per non abbandonare l’Europa ad un declino tecnocratico, sintomo di una sfiducia verso i popoli che si ritrova nello stesso Manifesto di Ventotene, che alla lunga ha prodotto disaffezione verso la costruzione comunitaria sognata da De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet): “Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”(Senato, Roma, 1973).

Non siamo di fronte ad una mera utopia o a una politica teorica: la fattiva importanza di questa strada in cui il nostro Paese può giocare un ruolo importante sullo scacchiere internazionale è dato pure dalle ricadute economiche che l’azione di Enrico Mattei, capo partigiano bianco, salvatore dell’Agip, presidente dell’Eni, ha dimostrato puntando a dialogo e cooperazione alla pari proprio con i Paesi mediterranei, dando così alla linea politica un robusto sostegno grazie a una reale strategia economica e industriale ben lontana dalle ricette turbo-liberiste. Quel grande lavoro di tessitura, che fu un’espressione evidente del soft power italiano (o meglio democristiano, un potere gentile esercitato con coraggio, temperanza e pazienza) oggi è messo in crisi ed eroso dall’interventismo, spesso sconsiderato, di altri Paesi che, di fronte all’immobilismo e alla mancanza di visione politica italiana, occupano gli spazi senza essere portatori di una idea di fondo propria della visione democristiana che era la costruzione di uno spazio di pace capace di contemperare i necessari equilibri.

“Due mondi si incontrano sul Mediterraneo: l’Europa cristiana e l’Islam: l’incontro non è soltanto naturale e geografico è anche ideale poiché la strenua e cosciente difesa dei valori dello spirito e della dignità della persona accomuna questi due mondi. Di tale incontro l’Italia è certo uno dei protagonisti e, talvolta, addirittura, l’interprete. Essa appartiene all’Europa, è culturalmente, socialmente, economicamente Europa, ma è appunto l’Europa che getta l’Italia come un pontone sul mare verso il Levante… così noi intendiamo la nostra coscienza mediterranea: l’ideale e gli interessi mediterranei del popolo italiano sono ideali e interessi di pace, di progresso, di concordia, fra i due mondi che, su questo mare, si incontrano e nel comune riconoscimento dei più profondi valori umani si sentono vicini e fratelli” (Paolo Emilio Taviani, sottosegretario agli Esteri, Fiera del Levante, Bari, 1951, su “Il Popolo” del 12 settembre ’51).

Questo ragionamento era legato ad una ampia riflessione portata avanti dalla storica rivista Civitas che vede la collaborazione mediterranea nella complessiva collaborazione atlantica anche per evitare la nascita, per rigetto, di una fascia di sbarramento contro Europa ed America a favore dell’Asia. Quanto è attuale un simile ragionamento? Lo possiamo constatare grazie all’incontro sul Mediterraneo promosso, con lungimiranza, a Bari dalla Conferenza Episcopale Italiana a cui ha partecipato papa Francesco. Indubbiamente si tratta di un appuntamento ecclesiale ma è innegabile, mentre anche alcuni uomini di Chiesa si attardano a curare la frattura tra cattolici rimasti, soprattutto i laici, senza idee e rilevanza sociale (essendoci stato un grande lavoro di disconoscimento della vitalità autonoma del pensiero popolare radicato nell’idea democratico cristiana), che indichi una direzione profetica grazie al magistero del Santo Padre ed all’impegno del presidente della Cei, il Cardinal Gualtiero Bassetti. Egli ha affermato, tra le altre cose, infatti che “non potrà esserci pace senza miglioramento di vita nelle aree depresse del Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana – prosegue il cardinale – non potrà esserci sviluppo (ecologicamente sostenibile) senza che cambino le regole che sottostanno ad una economia dell’iniquità che uccide. Non potrà esserci arresto delle crisi migratorie e umanitarie senza che – oltre alla cessazione delle guerre – sia restituito a ogni uomo e a ogni donna, cittadini del mondo, il diritto di restare nella propria patria a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, e senza che a questo diritto sia affiancato anche l’altro: quello di spostarsi! Liberi di partire, liberi di restare è la linea che come Conferenza episcopale italiana ci siamo dati nella nostra azione solidale nei confronti dei popoli impoveriti del sud del mondo”.

Dunque torna la necessità di guardare al Mediterraneo come spazio di dialogo franco, confronto, cooperazione, amicizia, pace, per rompere il malsano rapporto tra povertà ed instabilità politica dell’area: il porporato indica questa strada citando Giorgio La Pira, “il Mediterraneo torni ad essere quello che fu” perché “Mediterraneo non è solo bellezza generata dall’incontro delle diversità ma è anche violenza che esplode a causa dell’incapacità di comporre i giochi di potere, gli interessi contrapposti e le paure che queste stesse diversità possono alimentare”.  La visione profetica lapiriana completa la visione politica che va ripresa per la stessa cura del bene comune dell’Italia.

Come fare? Con un grande impegno euromediterraneo e ricostruendo un protagonismo del pensiero popolare democratico cristiano che, rinnovandosi soprattutto in termini di uomini e donne, puntando sui giovani formati alla politica insieme, in amicizia cristiana, va portato fuori dalle commemorazioni e dai politicismi di troppi che l’hanno tradito o usato per andare a servizio di rivoluzioni ideologiche che nulla hanno a che fare con l’ispirazione cristiana, dalle visioni anguste degli schemi politici imposti, anche col coraggio di mettersi all’opposizione dello stato delle cose.



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