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Ricerca, perché l’Italia deve puntare a vincere la Champions

In Italia ci sono 14 mila ricercatori, un patrimonio da valorizzare e sostenere anche economicamente e se fino ad oggi la ricerca italiana ha giocato in serie A adesso deve puntare a vincere la Champions. Una chimera? No, basta guardare a quello che è successo con il coronavirus dove hanno giocato un ruolo fondamentale le ricercatrici dell’ospedale Spallanzani.

Sono alcuni messaggi emersi durante il seminario, ideato da Beatrice Lorenzin (qui l’intervista all’ex ministro) dal titolo La sfida: 2025-2050: un rinascimento scientifico a prova di sostenibilità per far vincere il paziente che si è svolto presso il Centro Studi Americani (qui la locandina dell’evento). L’obiettivo che si pone il ciclo di seminari è proprio quello di costruire un bridge tra sapere scientifico e istituzioni, creando l’occasione affinché questi ultimi possano affrontare in modo positivo e proattivo le numerose sfide che il prossimo futuro. Tra gli altri hanno preso parte all’evento il professore e già rettore di Tor Vergata Giuseppe Novelli, il direttore generale del ministero della Salute Giovanni Leonardi, la responsabile degli affari regolatori di Novartis Patrizia Ciavatta, l’amministratore delegato di Biogen Italia Giuseppe Banfi e il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi.

All’incontro ha partecipato anche Gaetano Manfredi, ministro della Ricerca e dell’Università che ha sottolineato come “il clima in Italia sta cambiando, proprio sulla ricerca. Si sta capendo come questa sia un pezzo importante della nostra vita e, per questo, bisogna investire e puntare ad un salto di qualità”. Ne è convinta anche Lorenzin, già ministro della Salute e madrina dell’iniziativa. “Dobbiamo capire dove sta andando la ricerca biomedica e come può essere veramente un volano di sviluppo per l’economia italiana perché questo è il nostro petrolio”, ha spiegato. “Il panorama italiano è brillante nonostante tutto, nei prossimi anni saremo però di fronte ad un bivio: o riusciamo a valorizzare al massimo questo grande patrimonio della conoscenza e farlo diventare un’industria oppure rischiamo di retrocedere. Noi giochiamo in prima classe, adesso dobbiamo andare in Champions e queste sono scelte strategiche del Paese”.

Per farlo è stato proprio il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti a rilanciare la proposta di un Piano per l’Italia con l’aumento dei fondi per la ricerca e l’assunzione di 10 mila ricercatori. “Ed è certamente la strada da seguire, i nostri ricercatori vanno sostenuti anche economicamente”, ha continuato Lorenzin “altrimenti andranno a lavorare all’estero”. Ma non è solo la fuga dei cervelli il vero vulnus sui si gioca il futuro della ricerca italiana. Lo ha spiegato bene Walter Ricciardi, presidente mission board for cancer per l’Unione europea “per permettere lo sviluppo del Paese bisogna dargli le gambe con i finanziamenti e con le leggi. In questo momento l’Italia è in enorme ritardo su due leggi: la prima riguarda il recepimento del regolamento sulla privacy, sui dati. Siamo l’unico Paese su 27 che non l’ha ancora recepito. Il secondo è la sperimentazione animale. Si parla di un rinvio, di una proroga di un anno. Non serve a niente perché per portare investimenti e far lavorare tranquillamente i ricercatori ce ne vogliono almeno tre. Ecco se non si fanno queste cose la ricerca è solo una parola”.

“Conosciamo probabilmente solo il 5% di quello che dovremmo sapere della biologia umana”, ha evidenziato da parte sua Stefano Bertuzzi, amministratore delegato American Society of Microbiology. “In realtà, viviamo una rivoluzione copernicana che sta cambiando le scienze della vita: biologia, fisica ed informatica saranno sempre più integrate per poter risolvere i problemi più complessi dell’umanità. Certamente, però, da questa integrazione, soprattutto nel campo delle life sciences, sorgono almeno due grandi questioni che la società dovrà affrontare: prima di tutto, come sostenere i costi legati non solo alla ricerca ma, e soprattutto, relativi alla traduzione delle scoperte della ricerca in terapie che siano accessibili, eque e giuste e che non creino disparità sociali. Il secondo aspetto, non meno rilevante, riguarda le implicazioni etiche connesse sull’uso di tecnologie potentissime”. A quanto pare un problema che deve essere affrontato negli Stati Uniti come nel nostro Paese.

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