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Usa2020, con la campagna dem in cocci i repubblicani gongolano. L’analisi di Gramaglia

Visto quel che è successo finora, l’Iran, la Corea, il freddo con gli europei e il gelo con la Russia, non si capisce se è una promessa o una minaccia: dal podio della Camera, con il Congresso riunito in sessione plenaria, Donald Trump assicura che “il meglio” della sua presidenza “deve ancora venire”, nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione del suo (primo?) mandato. Forse, una promessa alla metà degli americani che lo votano; e una minaccia agli altri e al Mondo.

I repubblicani nell’aula applaudono e scandiscono “Altri quattro anni”. I democratici sono gelidi: Nancy Pelosi, la speaker della Camera, cui Trump, arrivando, non ha stretto la mano, strappa ostentatamente il discorso del presidente. “Potevo fare altro? Le alternative erano peggio”, risponde poi ai giornalisti, che le chiedono ragione del gesto. Trump e Pelosi non si vedevano da ottobre, quando la speaker abbandonò bruscamente un incontro alla Casa Bianca: in mezzo, c’è stato l’impeachment – e non è poco – e scambi al vetriolo a distanza.

A nove mesi dalle elezioni presidenziali del 3 novembre, il magnate presidente ha usato il discorso, pronunciato poche ore prima che il Senato lo assolva nel processo di impeachment – il verdetto è scontato -, per reclamare credito per quanto fatto, parlando di un “Great American Comeback”, e per infiammare lo “spirito americano” con l’impegno: “Sarà nostra la prima bandiera su Marte”. Sull’impeachment, neppure una parola.

Chi si aspettava un discorso programmatico sarà rimasto deluso: è stato un discorso essenzialmente celebrativo di sé stesso, una sorta di comizio, quelli che al magnate e showman riescono meglio. “Io ho mantenuto le mie promesse”, afferma: “Abbiamo sconfitto il declino dell’America e ne abbiamo fatto un Paese di nuovo forte e rispettato nel mondo. E non lasceremo che l’America venga distrutta dal socialismo”.

I repubblicani si spellano le mani, il presidente snocciola tutti i suoi successi: l’accordo commerciale con la Cina (“abbiamo utilizzato la giusta strategia”), il boom dell’economia, fino alla realizzazione del muro con il Messico. I democratici restano impassibili: a un certo punto, deputate e senatrici democratiche, tutte in bianco – un omaggio alle suffragette – si alzano in piedi in segno di protesta. Nella tribuna, Melania, la first-lady, è in “total black”.

Il clima è lontano anni luce dall’essere bipartisan, a parte il gelo tra Trump e Pelosi. Il Congresso è unanime solo nel salutare il leader dell’opposizione venezuelana Juan Guaidò, che è fra gli ospiti, e l’annuncio della Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile Usa, a Rush Limbaugh, popolare conduttore radiofonico e opinionista conservatore, affetto da un cancro in stadio avanzato.

Mentre il presidente parlava, i democratici nello Iowa stavano ancora contando i voti dei caucuses di lunedì; e stanno ancora facendolo ora. Con quasi i tre quarti delle schede contate, Pete Buttigieg è sorprendentemente avanti con il 26,8% dei voti, tallonato da Bernie Sanders al 25,2%. Terza è Elizabeth Warren al 18,4% e solo quarto Joe Biden al 15,4%. Amy Klobuchar è al 12,6%. Nessun altro candidato va oltre l’1%.

In termini di delegati alla convention, che sono quelli che contano per ottenere la nomination, dei 41 in palio – l’1% del totale circa -, la Ap ne assegna finora 24: 10 ciascuno a Buttigieg e a Sanders e quattro alla Warren.

Il distacco tra Buttigieg e Sanders è molto esiguo: i media Usa continuano a considerare la corsa “too close to call”, cioè troppo serrata per designare il vincitore. Il che non impedisce a Buttigieg d’esultare per “una vittoria stupefacente”. L’ex sindaco di South Bend nell’Indiana, 38 anni, apertamente gay, ha in ogni caso fatto molto meglio del previsto. Sanders gli replica: “Quando tutti i voti saranno stati contati, sarò primo io”. Biden, invece, che subisce una sconfitta imprevista, almeno nelle dimensioni, sa di doversi riprendere in fretta: altri passi falsi nel New Hampshire e nella South Carolina o in Nevada, Stati dove si vota in febbraio, potrebbero fare definitivamente deragliare la sua campagna.

Venerdì sera, gli aspiranti alla nomination democratica, che sono già tutti nel New Hampshire, dove si vota martedì 11, si affronteranno in un ennesimo dibattito televisivo. Oggi, però, i senatori, specie Klobuchar, Sanders, Warren, saranno in aula a Washington per il verdetto sull’impeachment.

Con la campagna democratica in cocci dopo il “disastro Iowa” – copyright: Trump -, i repubblicani gongolano. Fra i democratici, si frega le mani Mike Bloomberg: il miliardario, che è fuori dai giochi delle primarie di febbraio – sarà sulle schede solo a partire dal Super Martedì del 3 marzo –, intravvede un’opportunità nell’incidente di percorso dello Iowa. Ha deciso di raddoppiare la spesa in spot televisivi in tutti gli Stati dove sta facendo campagna e di raddoppiare il suo staff portandolo a oltre duemila persone.

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