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Tanti Ettore contro Achille. La battaglia Usa2020 raccontata da Gramaglia

I voti dei caucuses dello Iowa di lunedì sono stati finalmente contati tutti, ma un vincitore ufficiale non c’è ancora: i media Usa rilevano errori e incongruenze nei risultati finora comunicati e si va verso una revisione, chiesta dal presidente del Partito democratico Tom Perez: “Quando è troppo è troppo! Il riconteggio deve avvenire immediatamente”.

La giornata di giovedì è stata segnata dall’offensiva mediatica del presidente Donald Trump, dopo l’assoluzione nel processo in Senato, dove rischiava l’impeachment per abuso di potere e ostruzione alla giustizia.

Nello Iowa, i dati diffusi dicono che Pete Buttigieg è primo, in lievissimo vantaggio sul senatore Bernie Sanders: 26,2% contro 26,1%. La senatrice Elizabeth Warren è terza col 18% ed è seguita dall’ex vice-presidente Joe Biden col 15,8% e dalla senatrice Amy Klobuchar col 12,3%. Tutti questi cinque avrebbero ottenuto almeno uno dei 41 delegati dello Iowa alla convention nazionale, ma la distribuzione dei delegati non è stata ancora ufficializzata. Fra i repubblicani, i delegati dello Iowa da assegnare erano 40: 39 sono andati al presidente Trump, che ha avuto più del 97% dei voti, e uno a Bill Weld.

“È una notizia fantastica”, ha commentato Buttigieg, aggiungendo: “Anche il senatore Sanders ha chiaramente avuto una grande notte nello Iowa e mi congratulo con lui e con i suoi sostenitori”. Sanders si era dichiarato vittorioso in virtù del voto popolare, uno dei criteri presi in considerazione nel computo dei risultati dei caucuses.

Questa sera – le 21.00 ora della Costa Est Usa, le 03.00 in Italia – sette degli 11 aspiranti superstiti alla nomination democratica si confronteranno nel dibattito al Saint Anselm College di Manchester, nel New Hampshire, dove martedì 11 ci saranno le primarie.

I sette che si sono qualificati, secondo criteri che includono risultati dei sondaggi e fondi raccolti, sono, in ordine alfabetico, Joe Biden, Pete Buttigieg, Amy Klobuchar, Bernie Sanders, Tom Steyer, Elizabeth Warren and Andrew Yang, che torna sul palco dopo esserne stato assente l’ultima volta. Restano esclusi Tulsi Gabbard, Michael Bennet e Deval Patrick, oltre a Mike Bloomberg, che, però, non è in lizza nel New Hampshire.

Il giorno dopo l’assoluzione in Senato, Donald Trump ne ha avuto per tutti: per i democratici (“Politici corrotti hanno fatto di tutto per distruggerci, la mia famiglia, il presidente, il Paese”) e, soprattutto per Nancy Pelosi, la speaker della Camera (“È una persona orribile”), per Adam Schiff, il presidente del collegio d’accusa (“È una persona cattiva”) e per Mitt Romney, l’unico senatore repubblicano che gli ha votato contro (“Non mi piacciono quelli”, come lui e la Pelosi, che “usano la fede per coprire le proprie cattive azioni”). L’offensiva verbale di Trump s’è svolta in due tempi: di buon mattino, al National Prayer Breakfast, il suo primo impegno pubblico dopo l’assoluzione, dove arriva con un giornale, UsaToday, che ha un titolone in prima, “Assolto”; e poi alle 12.00, quando si rivolge alla Nazione in diretta tv dalla Casa Bianca.

Dei democratici, l’unica reattiva è la combattiva Pelosi, che contesta al presidente di sapere poco “di fede e preghiere” (“io prego per lui tutti i giorni”), elogia il coraggio di Romney: il discorso sullo stato dell’Unione del presidente è “un manifesto di bugie”, e, a chi le contesta di averlo platealmente stracciato, replica: “Lui ha stracciato la nostra Costituzione”. Gli altri leader democratici tacciono, impegnati a leccarsi le ferite del boomerang dell’impeachment e del “disastro” dei caucuses dello Iowa.

Parlando alla Nazione, Trump ripete concetti più volte espressi, ma ora legittimati dall’assoluzione: l’impeachment è stata una vergogna nazionale, lui non ha fatto nulla di male, o di sbagliato. “Non so se un altro presidente sarebbe riuscito a superare questa situazione, una grande ingiustizia portata avanti da gente bugiarda… Sapevano che ero innocente, ma volevano arrecarmi un danno politico”. Il magnate presidente ha anche rinvangato la “caccia alle streghe” del Russiagate, affermando che “Hillary Clinton e il partito democratico raccolsero milioni di dollari per danneggiarmi”.

La campagna per la rielezione di Trump s’è subito messa in moto per “capitalizzare” la vittoria sull’impeachment. In mail spedite “urbi et orbi” per raccogliere fondi, un Trump faceto dichiara: “Mi spiace, odiatori. Io non me ne vado”.

I democratici s’impegnano a tenere sotto scacco il presidente, ma sanno che il voto di mercoledì segna “game over”. Gli analisti notano un paradosso: “Il presidente che voleva condurre a temine le guerre senza fine oltremare resta al centro di una guerra senza fine in patria, una guerra che d’ora in poi si combatterà sui sentieri della campagna e che si risolverà solo nell’Election Day il 3 novembre”. Ma i campioni di cui i democratici dispongono hanno le fattezze di tanti Ettore di fronte all’Achille repubblicano. Con l’ottimismo della volontà, Michael Bennet, senatore candidato, e Buttigieg dicono all’unisono che “il Senato con l’assoluzione non ha fatto il proprio lavoro. Adesso, gli americani devono fare il loro”.

(Articolo pubblicato anche su Usa2020 di Giampiero Gramaglia. Leggi qui)

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