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Perché in Italia non decollano le Zone economiche speciali. L’analisi di D’Amico (Femoza)

Di Maurizio D'Amico

Uno: “Le zone economiche speciali non decollano”.  Due: “Zes, che pasticcio! Nate per semplificare, servono 32 autorizzazioni”. Sono i titoli di due articoli pubblicati rispettivamente sul “Dorso Sud” del Sole24Ore del 22 novembre e sul Mattino del 20 gennaio. Verrebbe da dire “la scoperta dell’acqua calda”. Come potrebbe essere il contrario quando i vari governi succedutisi hanno agito in tale materia con superficialità, mista ad evidente incompetenza tecnica e anche a tanta presunzione. Proviamo a ricostruire alcune delle ragioni del fallimentare start up.

Prima di tutto, il regime normativo adottato è inadeguato, frazionato com’è in diverse successive modifiche ed integrazioni, troppe in poco più di due anni (dal varo del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno” convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017, n. 123) comprese quelle contenute nella Legge di Bilancio 2020.

L’Italia è l’unico Paese al mondo che, nell’introdurre le Zone economiche speciali (Zes) sul proprio territorio, anziché procedere all’emanazione di una legge organica dedicata alla regolamentazione in maniera compiuta di tali strumenti, ha adottato un approccio immotivatamente minimale, dedicando ad hoc soltanto due articoli come corpus fondamentale, inseriti in un più ampio testo normativo avente un oggetto diverso (la crescita economica del sud Italia). Salvo poi essere state emanate norme successive, di rango secondario e di rango primario, ma queste ultime contenute in testi normativi “omnibus” o comunque di diversa finalità, nonché, per di più, non emanando disposizioni di dettaglio (inutilmente attese) esaustivamente chiarificatrici della reale portata di alcuni incentivi proclamati nella norma base (ad esempio, questo è il caso delle semplificazioni amministrative).

Il tutto ha prodotto uno stato di precarietà normativa “permanente”, con conseguente generazione di una situazione di estrema confusione e incertezza operativa sia da parte degli enti territoriali tenuti all’iniziativa di richiesta di istituzione delle Zes e della redazione dei Piani di sviluppo strategico, sia da parte degli investitori, impossibilitati ad avere una chiara definizione ex ante dello scenario regolamentare ed operativo nel quale si accingono ad investire le proprie risorse economiche. Ciò è grave, perché talvolta anche soltanto l’esatta, chiara, compiuta e, soprattutto, stabile esposizione del novero dei diritti e dei doveri garantiti da una legge può fare la differenza nel rendere conveniente la realizzazione di un’attività di impresa e, quindi, nel fornire oggettivamente gli indicatori per una limpida prospettazione circa la redditività o meno di un investimento.

In secondo luogo, il regime di governance scelto appare errato e incongruo nella sua strutturazione e funzionalità, tant’è che in base alla Legge di Bilancio 2020 sono stati previsti tanti commissari straordinari di governo quante sono le Zes. Essi presiedono i comitati d’indirizzo, peraltro già inesatti sia nella composizione sia nel loro concepimento come organismo gestionale. Pertanto, nei fatti, si tratta di un ulteriore ampliamento e suddivisione della governance, vale a dire proprio ciò che nell’essenza finisce per “complicare ed appesantire” anziché “semplificare”, l’attività di gestione delle Zes e le attività delle imprese che intendono investirvi.

Bisogna evidenziare che la maggior parte degli Stati che ha implementato con successo le Zes, ha istituito un’authority indipendente, per supportare le funzioni di governo sulle politiche inerenti al settore, che è spesso supervisionata da vertici governativi, come il presidente, il primo ministro o, in via residuale, un ministro prevalentemente dell’economia, del commercio o delle finanze.

Considerato che l’istituzione delle Zes in determinate parti del territorio nazionale corrisponde alla volontà di perseguire obiettivi di rilevante interesse economico e sociale per il Paese, proprio l’istituzione di una “National Sezs authority” consente di assolvere all’esigenza di garantire uno sviluppo equilibrato di tali aree, esercitando funzioni di controllo sugli organismi incaricati della gestione ed amministrazione delle singole Zes, espletabili eventualmente anche attraverso uffici localmente decentrati.

Inoltre è innegabile che in presenza di rilevanti interessi economici nazionali, quali appunto sono quelli sollecitati dalle funzionalità delle Zes intese come strumenti di accelerazione dello sviluppo economico per eccellenza, è estremamente opportuna la scelta di dotarsi di un’Autorità Amministrativa Indipendente, con personale avente qualificazioni altamente tecniche e una comprovata expertise nella materia delle Zes e in quelle collegate, in grado di tutelare i plurimi e variegati (dal punto di vista tipologico) interessi pubblici e della collettività coinvolti nello specifico settore. Ovviamente, tale best practice internazionale costituisce esattamente il contrario di ciò che prevede l’attuale quadro normativo italiano.

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