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La Bce c’è (dopo la gaffe). Romana Liuzzo spiega l’Europa sognata da Guido Carli

Di Romana Liuzzo

Dovremo cerchiare di rosso i giorni che stiamo vivendo. Lo faremo noi italiani, lo dovranno fare tutti i cittadini e i governi d’Europa. Non solo perché la diffusione del virus rischia di produrre effetti economici che pagheremo per lunghi anni. Ma soprattutto perché rischia di sgretolarsi l’intero progetto d’Europa costruito in questo mezzo secolo. Un progetto al quale Guido Carli, mio nonno, ha dedicato la sua vita. E ha un senso ricordarlo proprio oggi, alla vigilia dell’anniversario della sua nascita, il 28 marzo del 1914. Umanista, prima ancora che economista, al quale – sono parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – questo Paese deve molto. E credo anche questa Europa, interamente da rifondare quando tutto questo sarà finito.

Quando nei giorni scorsi prima la Germania e poi la Spagna e ancora l’Austria hanno chiuso i confini per proteggersi dal contagio, seguiti da altri Paesi ma non da tutti e facendolo da soli e senza che la decisione venisse concordata con le autorità di Bruxelles, in quell’esatto momento è finito Schengen. Poi tutta l’Unione si è chiusa dal resto del mondo, è vero. Ma a quel punto, certo sotto l’effetto della paura e della legittima difesa della salute dei cittadini, aveva perso ogni valore il Trattato che è stato per decenni la bandiera della solidarietà tra i popoli, come quello di Maastricht lo è stato per l’unione monetaria e dunque finanziaria. Ma cosa resta anche di quell’Unione? Su quali basi bisognerà ricostruirla dopo l’emergenza? Quando era da poco esploso il contagio, Bruxelles aveva deciso di stanziare appena 25 miliardi: la stessa cifra che era stata messa a disposizione dal governo italiano per far fronte al tracollo nazionale. È sembrato che ognuno fosse tenuto salvarsi per sé. A cominciare dal nostro Paese. Poi è intervenuta la Bce, dopo l’iniziale scivolone, offrendo la copertura da 750 miliardi per l’acquisto dei titoli di Stato. Una scialuppa di salvataggio non da poco, per il Vecchio Continente.

Ora si tratterà di salvare il salvabile. Lo scenario era fortunatamente diverso ma già drammaticamente chiaro a mio nonno, Guido Carli, fin nei primi anni Novanta in cui pure veniva siglato l’accordo che ha sancito la nascita dell’euro: era il 1992. Nasceva la coesione monetaria di un’Unione che appariva tuttavia la federazione delle burocrazie e non dei popoli che la componevano. Dovevano essere gli albori di un’Europa civile, che tuttavia Carli aveva sognato diversa, meno blindata e autoreferenziale, più incline ai bisogni dei suoi cittadini. Non era questa l’Unione che l’umanista Carli ha cercato di costruire nell’arco di una vita vissuta nel tentativo costante di superare le diseguaglianze: tra i pochi ricchi, sempre ricchi nel Vecchio Continente, e una maggioranza crescente di poveri. Allora come oggi. È stata la sua missione quando sedeva ai vertici della Banca d’Italia come alla presidenza di Confindustria, ma soprattutto al tavolo delle trattative di Maastricht.

Rinnovare la memoria e il lascito morale di Carli è invece la missione che si è data la Fondazione che ho l’onore di presiedere e che porta il suo nome. Anche in questo anno di grandi difficoltà e cambiamenti epocali sarà fatto di tutto per celebrare l’undicesima edizione del premio Guido Carli. Appuntamento 2020 che a maggio, nei nostri progetti, avrà un respiro internazionale, con l’assegnazione del riconoscimento alle grandi personalità che si sono contraddistinte nel mondo per il loro impegno in favore della pace e della concordia dei popoli, nell’anno in cui si celebrano i 150 anni del Mahatma Ghandi. Credo che questo sia il modo più appropriato per onorare il ricordo del nonno che mi ha cresciuta, dell’economista ma – ancor più – dell’uomo dai valori intangibili e sempre votati alle necessità dei più deboli e bisognosi. Sono le ragioni per le quali la memoria di un grande servitore dello Stato va onorata. Ancor più in momenti cruciali come questo.

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