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Vi racconto Carlo Casini, profeta e saggio. Parla Mario Mauro

Quante volte ce lo hai ricordato, Carlo? “La società tutta intera, in particolare il “popolo della vita” devono essere accoglienti anche verso coloro che hanno abortito. È anche colpa della società e nostra se non siamo riusciti a restituire loro il coraggio e la libertà di accogliere la vita. Perciò non è bene usare la parola “omicidio” pur sapendo che l’aborto è l’uccisione di uno di noi”. Queste tue parole descrivono meglio di tutto quello che potremo dire noi oggi, quello che eri , ciò in cui credevi , ciò per cui pensavi valesse la pena mettere in gioco se stessi, il proprio lavoro , la propria reputazione.

Perché infatti Carlo Casini era un uomo di grande laicità, totalmente restio ad un approccio ideologico e dogmatico nei confronti della realtà ancor più se si trattava di affrontare i temi complessi legati al diritto alla vita. Avevano cercato di dipingerlo come un crociato ottuso ed insensibile, i professionisti della delegittimazione a mezzo stampa, negli anni ottanta ma Carlo rispondeva colpo su colpo dilatando la ragione ed il sentimento di un magistrato tanto rigoroso quanto comprensivo, di un politico duttile e coraggioso, di un uomo tenacemente attaccato alla verità e per questo capace di una carità senza fine e di promuovere nuovi modelli di solidarietà sociale. Dai Centri di aiuto alla vita al progetto Gemma. “Non si tratta di condannare e giudicare le donne. Si tratta piuttosto di criticare nel suo complesso una società che non sa pienamente riconoscere la dignità umana e che crede di aiutare le donne nascondendo loro la verità”.

La sua filosofia non era giudicare ma condividere. Europeista senza tentennamenti aveva utilizzato gli anni del Parlamento Europeo per affermare una sorta di magistero della dignità della persona umana spaziando dalla difesa della libertà religiosa, all’ostinato accertamento delle violazioni dei diritti umani fossero essi nel teatro dei Balcani o ad opera dei terroristi di matrice islamista che gli facevano prendere posizione con forza contro l’utilizzo del nome di Dio per l’affermazione del proprio progetto di potere.

Negli anni in cui è stato presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento Europeo ha accompagnato con trepidazione i passi incerti della costruzione comunitaria ribadendo la necessità di preservare lo slancio e la visione dei padri fondatori. E senza timore di apparire scomodo anche all’interno della sua famiglia politica, il Partito popolare europeo, cui era legatissimo, quando riteneva che stesse cedendo alla mentalità dominante.

Era un giurista raffinato. “Non esiste una ‘autodeterminazione di diritto’ come potere di distruggere l’altro” era solito dire. Questa convinzione lo sorreggeva nell’accettare le sfide della politica del suo tempo ben oltre le polemiche abortisti-pro life. La sua riflessione incideva sul dibattito relativo alla clonazione umana, sul dialogò Interreligioso, sulle strategie per l’amicizia tra i popoli nel segno del suo modello La Pira, sulla elaborazione di un welfare sussidiario che preservasse le formazioni intermedie della società, prima fra tutte, la famiglia. “Che almeno si apra un dibattito serio, che almeno l’Europa resti neutrale e non finanzi la distruzione di vite umane”.

Quando ancora era attivo come presidente onorario del Movimento per la vita, commentava così il senso della petizione “Uno di noi” di medici e giuristi che aveva consegnato al presidente del Parlamento europeo di quegli anni, Antonio Tajani. “È solo un piccolo passo, il realismo oggi non ci consente di chiedere di più”, aggiunge, appellandosi almeno a quel principio di precauzione che in Europa è unanimemente accolto in campo ecologico. “L’impegno per la tutela degli embrioni umani pone anche una questione che investe la democrazia nell’Unione europea”.

La petizione degli esperti, infatti, si ricollegava a quella popolare a cui la Commissione europea, dunque un organo esecutivo, non diede corso nel 2014, nonostante fosse stata sottoscritta da due milioni di cittadini di tutta l’Unione, il doppio di quanto richiesto dal nuovo istituto di democrazia partecipata (Ice, Iniziativa dei cittadini europei) secondo il Trattato di Lisbona.

L’iniziativa dunque ripartiva dal Parlamento europeo anche se Carlo non ne faceva più parte, a testimoniare che per lui la politica non è mai coincisa col ruolo che ricopriva ma era la passione per la vita intera , tutta la vita pubblica.”Che l’Europa non incoraggi con il proprio denaro la morte di figli e i denari così risparmiati potranno essere destinati ad aiutare la maternità o la salvezza dei profughi che scappano dalla morte”.

È “un seme da cui può essere risvegliata l’anima dell’Europa” e che chiede il sostegno di tutte le persone e gli organismi “che credono che l’Europa non sia solo un mercato”. Si vive per ciò in cui si crede . Questo il senso della storia personale e dei gesti pubblici della sua vita. Sono certo che molti oggi nelle istituzioni e soprattutto in mezzo alla gente , al “suo” popolo non esiteranno a riconoscerlo come profeta e come saggio. A Dio, Carlo.

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