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La Chiesa non abbandoni i cristiani di fronte all’emergenza. Parla il Vescovo D’Ercole

L’emergenza Coronavirus ha messo alla prova anche la Chiesa italiana. Subito dopo la constatazione dello stato di emergenza nazionale, sono state prese dalla Conferenza Episcopale Italiana le misure precauzionali richieste, in attesa di capire come la situazione si andrà a delineare nei prossimi giorni. Sul Foglio il cardinale Angelo Scola, tra le varie sfide che entrano in gioco in questo periodo di difficoltà, in cui il bisogno di stare uniti si fa sempre più forte, ha sottolineato come, ancora una volta, ritorni in primo piano “la questione del senso: per chi io vivo? E quale direzione intendo dare al mio cammino terreno?”. Formiche.net ne ha parlato con Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno, per anni volto noto della televisione italiana.

In questo periodo di prova e di difficoltà, c’è una riflessione più alta da fare, rispetto a quella medico-scientifica, legata alla diffusione epidemiologica del virus, quindi anch’ella sacrosanta, ma forse non sufficiente? 

L’emergenza Coronavirus, a mio modo di vedere, man mano che avanza e i dati che ci giungono ci permettono di avere un quadro, è molto più complessa di quella che potrebbe essere considerata semplicemente una pandemia. Perché rivela aspetti umani che non possono non interrogarci. Il virus fa il suo corso, l’economia ne risente pesantemente. Il quadro sociale diventa sempre più instabile. A questo punto, la gente è sempre più spaventata e vive un panico del quale forse non ne sa più capire il senso. La mancanza di riferimenti sociali e politici saldi – i politici litigano, gli scienziati sono divisi tra loro – secondo me costituisce un rischio di destabilizzazione per moltissime persone, che hanno bisogno di sentirsi fortemente appoggiati e non abbandonati. Perché il senso dell’abbandono è molto forte.

Qui entra in gioco il tema del senso che diamo alle nostre giornate. 

A questo punto viene sicuramente fuori la domanda di fondo: su che cosa ho basato la mia vita? Quali sono i punti di riferimento saldi ai quali ho attaccato il successo delle mie cose? Qui c’è gente che rischia di trovarsi senza lavoro, industrie che chiudono, mercati in crisi, persone che si trovano nell’immediato in grande difficoltà. Qui il problema è molto più profondo e interroga sicuramente la coscienza di tutti noi.

Il senso dell’abbandono è forte, e tra le categorie che ha elencato aggiungo anche quella dei media, che forse non ha fatto bene il proprio lavoro contribuendo ad alimentare il senso di confusione. La Chiesa invece, in tutto questo, che ruolo ha e deve avere? Visto che si sono dovute bloccare le Messe, sperando che per Pasqua la situazione si risolva.

Sì, purtroppo anche l’intervento della Chiesa è stato provocato dall’emergenza. E in questi casi, spesso si prendono misure non calibrate fin dall’inizio. Però man mano che andiamo avanti si va delineando meglio l’intervento della Chiesa. Che a mio modo di vedere, e questa è la mia posizione sin dall’inizio, non può assolutamente chiudere le chiese e sospendere le celebrazioni liturgiche. Non può cioè dare l’idea che nel momento della difficoltà i nostri fratelli vengano abbandonati a sé stessi. Questo è il messaggio molto forte che va dato. Di cui, secondo me, qualcuno che inizialmente aveva chiuso tutto un po’ frettolosamente, oggi si rende conto.

Solo questo?

Accanto a questo c’è un altro messaggio forte che la Chiesa deve ricordare. Cioè che la salvaguardia della salute delle persone è un bene importantissimo, che non può essere messo a rischio da una faciloneria con cui magari si può pensare di continuare le attività pastorali come prima.

Il momento è duro, insomma.

Viviamo in uno stato di emergenza, dove bisogna coordinare insieme la verità, che cioè Dio non ci abbandona in questo momento, e quindi l’importanza della celebrazione eucaristica, che a mio modo di vedere non deve essere impedita, sia pure prendendo tutte le precauzioni. E in secondo luogo, la ricerca attenta dell’assunzione di tutte le condizioni che permettono di garantire il massimo possibile nella salvaguardia della salute. A fronte di tutto ciò, c’è uno sguardo attento che va preso.

Quale?

La comunità cristiana, in questo momento, deve riscoprire un modo nuovo di vivere il cristianesimo, e anche per noi sacerdoti un modo nuovo di svolgere pastorale, e non considerare questo periodo come una pausa forzata, ma un tempo in cui vivere la pastorale in modo diverso. Privilegiando il contatto personale, riscoprire l’importanza della preghiera in famiglia e la prontezza di affrontare le emergenze, qualunque esse siano, con la serenità che viene dalla certezza di Dio che non ci abbandona mai.

Il Papa dice che “non è il tempo per riversare sulla gente inutili moralismi”, ma “per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da Dio”. Che la Quaresima è “tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita”. È un momento per vivere la fede anche nell’isolamento forzato, bisogna cioè cercare il buono anche in questi momenti duri?

La provocazione è forte. Noi oggi ci poniamo come essere cristiani in tempo di emergenza, e non sappiamo quanto può durare, anche più del previsto. Come leggere il segno della presenza di Dio e come non subire la situazione, ma trasformare la difficoltà in opportunità? Questo dovrebbe essere molto di aiuto agli operatori pastorali. C’è bisogno di una presenza più forte che sottolinei il primato della presenza in Dio sempre e comunque.

Parlando del senso di abbandono, qualcuno ha lamentato un po’ di freddezza da parte dei sacerdoti. Lei che ne pensa dello stop arrivato fino al Santuario di Lourdes?

Per me è molto difficile dare una valutazione, perché non conosco tutte le coordinate. Sono convinto che le decisioni prese sono sempre frutto di un’analisi, una riflessione e un coordinamento fra tutti. Certamente mi pongo una domanda: chiudere Lourdes può essere un’esigenza, ma quale messaggio viene dato a tutti? Si poteva trovare una formula alternativa? È una domanda che pongo, che ne fa risuonare in me un’altra più profonda. In questi momenti la chiesa non può abbandonare la gente.

Cosa dice quindi ai sacerdoti?

I sacerdoti sono spesso le prime vittime, anche loro non sanno come comportarsi, aspettano orientamenti che anche i vescovi talvolta fanno fatica a decifrare immediatamente, allora si crea un senso di confusione e smarrimento che prende un po’ tutti. Credo però che dopo il comunicato della Cei, in cui si riafferma l’importanza della celebrazione eucaristica, l’impegno di tutti noi sia di fare in modo che le celebrazioni si facciano con la massima garanzia. E qualora non si potessero fare, nelle domeniche in particolare, in cui le chiese sono più affollate rispetto ai giorni feriali, e il problema potrebbe arrivare fino a Pasqua, si tranquillizzi la gente e si propongano soluzioni alternative. Per esempio io suggerisco ai miei sacerdoti di fare l’esposizione del Santissimo Sacramento invitando i fedeli a fare una preghiera e ascoltare la parola di Dio, ricevere l’Eucarestia e tornare a casa.

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