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Che beffa le mascherine dalla Cina. Il commento di Pennisi

Vi ricordate il detto che tutti studiammo al liceo (lo dovrebbe aver studiato anche il ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio) timeo Danaos et dona ferentes  (dal latino temo i Danai anche quando recano doni)?

Sono parole che Virgilio (Eneide II, 49) fa pronunciare a Laocoonte, quando vuol dissuadere i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci. Sappiamo come andò a finire. Gli uffici del ministro hanno informato il colto e l’inclito che è in arrivo “nelle prossime ore” un volo charter messo a disposizione in tempi rapidissimi (grazie ai suoi consolidati rapporti con le stanze dei bottoni nella Città Proibita) con “aiuti” della Repubblica Popolare Cinese alla Repubblica Italiana: centomila mascherine di ultima e massima tecnologia, ventimila tute protettive, oltre a cinquantamila tamponi per effettuare test diagnostici. Oltre a medici e tecnici per fornire assistenza tecnica ai meno avanzati confratelli italiani. Al primo piano della Farnesina si gongola e si festeggia. Ma io timeo Danaos et dona ferentes.

Ed è, infatti, una notizia che ci sbigottisce ed inquieta. La Cina vuole essere considerata “Paese in via di sviluppo” ai fini delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ma allo scopo di applicarle in modo lasco. Pechino ha una responsabilità primaria nella pandemia del coronavirus per essersi mossa tardivamente ed avere intimidito e punito i propri medici ed epidemiologhi che avevano allertato le autorità politiche del rischio che si manifestava: avere perso un mese (e forse di più) ha scatenato un flagello che minaccia di costare migliaia di vite umane e almeno due punti del Pil mondiale.

In altri tempi, la comunità internazionale e soprattutto il gruppo dei Paesi avanzati ad economia di mercato avrebbero chiesto “riparazioni” a Pechino ed avrebbero inviato cannoniere sino alle mura della Città Proibita. Oggi la geopolitica è tale che si chiederà a Xi Jinping (o a chi per lui) solamente di osservare con massima cura le regole che la sua Repubblica Popolare ha firmato. Accettare il “dono” rende difficile insistere, come doveroso, per tale osservanza.

Trovo poco dignitoso accettare le mascherine, le tute protettive, ed i tamponi, nonché l’assistenza tecnica, provenienti da Pechino. E considero quanto meno peculiari i salti di gioia del signor Luigi Di Maio per “l’asse ormai consolidato” tra Roma e Pechino. Egli è ministro degli Esteri della Repubblica Italiana o steward dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a via Bruxelles, Roma? Temo che non arriverà mai una risposta.

Accolgo, invece, con gioia una notizia che pochi hanno notato: mentre alla Farnesina si festeggiava, in quel di Galliate, in provincia di Novara, la ditta Coccato&Mezzetti ha riattivato due linee di produzione di mascherine monouso con il marchio Promovita. Linee di produzione che aveva dovuto chiudere nel 2005 a ragione della massiccia importazione dalla Cina probabilmente in barba alle regole Omc e Oms.

Beh! A ciascuno il suo.

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