Date un’occhiata ai vari megafoni in inglese del governo di Pechino, dal Global Times al China Daily, dall’agenzia Xinhua all’altra agenzia China News Service, da China Global Television Network a China Radio International. In queste ore sono tutti concentrati sul cosiddetto modello Wuhan, di cui abbiamo già scritto diffusamente sottolineando alcune lacune nella narrativa del regime. Ma ampio spazio viene dato a uno stato in particolare, l’Italia, dopo l’annuncio dell’arrivo nel nostro Paese di medici e strumentazioni provenienti dalla Cina. E colpisce che le parole più utilizzate dai media del regime siano “solidarietà e amicizia”, le stesse utilizzate dal Movimento 5 stelle ieri dopo la telefonata tra i ministri degli Esteri Luigi Di Maio e Wang Yi. “L’amicizia e la solidarietà reciproca pagano” è il mantra pentastellato ripetuto tenendo ben coperto il fatto che non si tratti di un regalo di Pechino. Anzi, ci sono costi economici per l’acquisto dei respiratori ma c’è soprattutto un prezzo politico che l’Italia ha pagato alla Cina, offrendosi in sacrificio ai tentativi di Pechino di riabilitarsi sulla scena internazionale.
Tuttavia, basta scorrere la timeline su Twitter di Lijian Zhao, portavoce del ministro degli Esteri di Pechino, per scoprire che questa sensazione, che l’Italia abbia un posto speciale del cuore del compagno Xi Jinping, è un’illusione. Oltre a rilanciare le notizie dei megafoni sulla telefonata tra i ministri degli Esteri italiano e cinese, l’alto funzionario ripropone buona parte delle notizie che dimostrano l’attività diplomatica di Pechino sul coronavirus.
Si scopre quindi che offerte simili a quella fatta al governo di Roma, la Cina le ha avanzate al Nepal, alla Corea del Sud, all’Iraq e perfino al Regno Unito. Ricevendo dal ministro degli Esteri britannico Dominic Raab un secco no grazie. Di contro, gli Stati Uniti sono il bersaglio preferito della diplomazia statunitense. Il portavoce Lijian Zhao ieri rilanciava un editoriale del Global Times contro il segretario di Stato americano Mike Pompeo dal titolo “In new low, Pompeo passes buck to Beijing” che potremmo tradurre in “Alla frutta, Pompeo scarica le responsabilità sulla Cina”.
Difficile non addossare colpe a Pechino per la gestione del coronavirus. Basta infatti dare un’occhiata al sito Wuhanmemo.com per capire come i ritardi e i silenzi del regime rappresentino le ragioni della pandemia.
Ma lasciamo da parte la questione già più diffusamente affrontata sulle nostre colonne. Invece, concentriamoci sull’attenzione data all’Italia dai media cinesi. Colpisce che il governo italiano, già convertitosi sulla Via della seta, parli di “amicizia e solidarietà reciproca” quando invece appare abbastanza chiaro che Roma sia soltanto una parte di un progetto di propaganda per riabilitare Pechino agli occhi del mondo. E colpisce ancor di più alla luce del recente affondo della Casa Bianca. Il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Robert O’Brien, ha accusato la Cina di non aver gestito nel modo giusto l’epidemia di coronavirus, “mettendo a tacere i medici coinvolti o mettendoli in isolamento”. Una risposta che “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi preziosi” per contenere la diffusione del virus.