Muoversi nel campo filosofico (Philos + Sophia) (1) di realtà, “filosofare” significa, nel nostro progetto di civiltà, contaminare per fecondare l’intelletto nel sentimento e il sentimento nell’intelletto. La filosofia non è semplicemente eros o agape o bhakti o prema. È il tipo di sophia (…) contenuto nell’amore originario … E la saggezza evolve quando si ha coalescenza fra l’amore per la conoscenza e la conoscenza dell’amore, scrive Panikkar (2).
Le parole sono simboli se (ri)trovano la loro anima, problematizzando il loro essere anche concetti e calandosi nell’oltre. Il linguaggio è la casa dell’essere, diceva Heidegger. Il linguaggio comprende (…) il silenzio (3).
La parola, dunque, è, al contempo, ripresa del qui-e-ora tanto quanto dell’oltre (esplorazione, intuizione). La parola non è una cosa.
La parola vive la possibilità del trauma; essa ci permette di parlare del profondo di realtà ma non ci permette di coglierlo pienamente attraverso di essa, di rivelarlo. La parola, però, ci permette di (com)prendere che c’è qualcosa che la supera e che non possiamo esprimere con la parola stessa: il suo mistero istituente. C’è un lato silente delle parole (4). Il mistero della parola è in dialogo dialogico con il suo lato parlato. Non sono due parole ma è la stessa che rivela e che nasconde. Sempre Heidegger: rivelare è nascondere e nascondere è rivelare.
Dicevamo di (com)prendere e non solo di comprendere. In un tempo nel quale è la transizione nell’incertezza il dato del nostro vivere, dobbiamo guardare come la contemplazione illumini le modalità di conoscere e la stessa intelligibilità umana (5). La contemplazione rivela la pienezza di tutto ciò che è, per il fatto stesso di essere ciò che realmente è, dice Panikkar (6).
Siamo esploratori più che analisti. Abbiamo bisogno di intuire e non di ridurre la realtà che in sé non è auto-trasparente o auto-intelleggibile (7). Torna il mistero, che è anche nostro. Llull si meraviglia, ad esempio, del fatto che noi umani possiamo essere definiti come coloro che non comprendono se stessi (8).
È nella totalità di un lavoro (progetto di civiltà che guarda nella pienezza dell’esperienza) che preservi il suo mistero istituente, silenzioso, che possiamo lavorare nel profondo di realtà come totalità dinamica e interrelata (9), trinitaria, per (ri)trovarla. Ed è quello che sembra mancare al/nel mondo di oggi che universalizza e non contestualizza, così urlato da morire nel suo non-senso, dal futuro impossibile se non si (ri)flette in ciò-che-è.
Dalla crisi non usciremo come ci siamo entrati. Siamo un/in un mondo che ha bisogno di metanoia (10), quella che abbiamo chiamato metamorfosi. Serve una nuova esperienza umana fondata sul pluralismo. Il pluralismo (…) presuppone che le vie si equivalgano ma che non siano separate le une dalle altre; che tutte si riuniscano al termine del percorso e si ritrovino attorno agli stessi interrogativi esistenziali fondamentali dell’uomo (11).
NOTE
(1) Si veda Young-chan Ro, Panikkar e Laozi: un approccio mistico in I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 86
(2) Si veda Raimon Panikkar, A Dwelling Place for Wisdom, Louisville, Westminster/John Knox, 1993, p. 88
(3) Young-chan Ro, op. cit., p. 88
(4) Young-chan Ro, op. cit., p. 89
(5) Young-chan Ro, op. cit., p. 87
(6) Si veda Raimon Panikkar, La nova innocència, Barcelona, Proa, 1998, p. 65
(7) Si veda Jordi Pigem, Philosophus semper est laetus: da Ramon Llull a Raimon Panikkar in I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 109
(8) Jordi Pigem, op. cit., p. 109
(9) Jordi Pigem, op. cit., p. 106
(10) Jordi Pigem, op. cit., p. 101
(11) Si veda Mohamed Haddad, Ibn ‘Arabi e Panikkar: un’altra via per l’umanità ? in I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 118
(Professore di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)