Pochi si sono chiesti perché la Federal Reserve ha abbassato i tassi d’interesse e lanciato un massiccio programma di Quantitative Easing, nonostante l’economia americana stia crescendo ad un tasso annuo del 2%. C’è, senza dubbio, la forte preoccupazione che la pandemia del “coronavirus” porti a una grave recessione mondiale che colpirebbe di brutto anche gli Stati Uniti. Se si hanno amici nel palazzone in stile tardo fascista a Constitution Ave di Washington dove ha sede l’autorità monetaria federale americana, si apprende una determinante più imminente: il timore di una nuova crisi finanziaria prossima ventura. Da un lato, crisi finanziarie in senso lato (bancarie, valutarie, del debito sovrano) vanno a braccetto con le recessioni: si sono verificate rispettivamente in 15, 62, 67, e 38 Paesi rispettivamente durante le recessioni mondiali del 1975, del 1982, del 1991, e del 2009.
Da un altro, l’autorità monetaria americana teme da tempo che dopo tanti anni di tassi d’interesse molto bassi, ci sia stata una vera ubriacatura delle imprese non finanziarie che si sono indebitate eccessivamente, in gran misura tramite l’emissione di obbligazioni, creando una bolla che potrebbe diventare una bomba da un momento all’altro. L’indebitamento si basava spesso su piani industriali d’espansione poco accurati (ove non “immaginifici”) i cui difetti diventerebbero palesi al rallentamento dell’economia.
In breve, alla fine della scorsa settimana uno studio di Cerdar Selik e Mats Isaksson dell’Ocse ha stimato in 13,5 milioni di miliardi di dollari il totale del debito delle imprese non finanziarie. È stato accumulato, in gran misura tramite emissioni di obbligazioni, in anni di crescita in molti Paesi industriali ad economia di mercato (l’Italia era tra i pochi in ristagno) e bassi tassi d’interesse. Già un anno fa, uno studio del Fondo monetario relativo al corporate debt di otto Paesi (Usa, Cina, Giappone e i principali Paesi Ue) concludeva che uno shock pari alla metà di quello del 2008-2009 avrebbe messo a rischio il 40% del debito delle imprese e causato una catena di fallimenti.
Ma c’è di peggio. Secondo Algebris Investment, numerose emissioni di obbligazioni (e fidi bancari) sono andati a sorreggere, con il pretesto di programmi di crescita, aziende che si sarebbero dovute profondamente ristrutturare e che ora sono decotte. Lo indica il fatto che il 51% di questi titoli hanno un rating BBB, il più basso prima che vengano considerate “obbligazioni spazzatura”. Negli ultimi shock subiti dalla Borse, banche e finanziarie che avevano in pancia questi titoli si sono affrettate a sbarazzarsene, accentuando i ribassi degli indici aggregati.
Per dovere di cronaca, occorre dire che non tutti sono così pessimisti: al Peterson Institute for International Economics di Washington, ad esempio, si prevede che proprio a causa della recessione, le banche centrali non faranno mancare liquidità al sistema, i tassi d’interesse resteranno bassi e il corporate debt cavalcherà la crisi.
Non condivido questa visione piuttosto rosea perché temo che la recessione, iniziata in alcuni Paesi (ad esempio in Italia dove il Pil cala dal quarto trimestre dell’anno scorso) prima dell’emergenza del “coronavirus”, si prospetta lunga e profonda, tale da spazzare via non solo singole imprese ma anche interi comparti. A quel punto, chi si è indebitato ed emesso obbligazioni sulla base di programmi di crescita fantasiosi non potrà non soccombere. Portando seco chi gli ha dato fiducia o pensava di avere un rendimento maggiore dei bassi interessi dati dallo Stato o da aziende di tutto rispetto. Palazzo Chigi e Via Venti Settembre facciano attenzione alla bolla perché potrebbe diventare una bomba per chi ha un pesante debito sovrano.