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Perché in Lombardia la scelta migliore è chiudere o rallentare le produzioni. Parla Donegà (Fim Cisl)

Di Andrea Donegà

La situazione nelle imprese metalmeccaniche è molto complicata. In questi giorni continuiamo a ricevere segnalazioni che ci confermano un clima che inizia a diventare ingestibile. I nostri delegati di fabbrica, instancabili, stanno facendo un grande lavoro nel rassicurare le paure delle persone, raccoglierle e trasformarle in risposte solidali utili a trovare le migliori soluzioni a tutela della salute e del lavoro.
Dopo la pubblicazione del DPCM dell’11 marzo scorso, infatti, nelle fabbriche sono esplose rabbia e paura perché i lavoratori si sono sentiti discriminati rispetto alle scelte fatte dal governo.

In questa settimana abbiamo registrato, da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, crescenti e comprensibili forme di auto-abbandono del lavoro. In diverse aziende metalmeccaniche lombarde, il Sindacato, insieme ai propri delegati, è stato costretto a proclamare iniziative di sciopero dopo aver verificato il mancato rispetto delle norme a tutela della salute delle persone. Ovviamente, continueremo a chiedere il blocco delle imprese che non possono garantire salute e sicurezza. Purtroppo, iniziano ad aumentare i casi di contagio anche nei luoghi di lavoro, alcuni anche molto gravi.

Per questi motivi abbiamo deciso, insieme agli altri sindacati di categoria, di attivarci in tutte le fabbriche metalmeccaniche della Regione, tramite i delegati o utilizzando le tecnologie per svolgere riunioni a distanza, per ottenere la sospensione dell’attività lavorativa o, dove questo non sia praticabile, un significativo rallentamento della produzione e quindi una riduzione della presenza di lavoratrici e lavoratori, fino al persistere della situazione di emergenza, utilizzando gli ammortizzatori sociali o gli strumenti previsti dal contratto nazionale. Una indicazione data anche a livello nazionale dai sindacati metalmeccanici e avviata, fin dall’inizio di questa emergenza, dalla Cisl lombarda che, insieme agli altri sindacati confederali regionali, ha da subito chiesto il fermo di tutte le attività economiche e produttive per salvaguardare la salute di tutti.

Fermare o rallentare le produzioni, aumentare il più possibile l’utilizzo dello smartworking, favorire l’utilizzo delle ferie arretrate sono tutte misure volte a ridurre al minimo i contatti tra le persone, contenendo così il rischio del propagarsi del contagio. La Lombardia, infatti, è la regione dove la velocità del contagio, e della diffusione del virus, non ha eguali nel Paese. non ci dimentichiamo del ruolo fondamentale che la nostra regione rappresenta nella catena globale delle produzioni, per il peso che ha in termini di export e di pil. Siamo però convinti che, in questo momento, tutela della salute e normalità produttiva non siano conciliabili anche a causa dei ritardi e delle sottovalutazioni che il Governo ha dimostrato nell’affrontare dall’inizio questa inedita emergenza.

Il tasso di assenteismo nei luoghi di lavoro, in queste giornate, ha raggiunto percentuali altissime, con punte del 50%. Anche per questo motivo le aziende hanno iniziato a fare richiesta di ammortizzatori sociali. A oggi, dall’inizio dell’epidemia, in tutta la Lombardia metalmeccanica, abbiamo contato quasi 400 richieste di cassa integrazione che interessano circa 15.000 lavoratrici e lavoratori. Sicuramente il numero è destinato a crescere se consideriamo che solo in questa settimana, rispetto alle prime due settimane di emergenza, le domande sono aumentate del 300%.

Il sindacato con la sua azione determinata, a tutela della salute delle persone, sta arrivando dove il Governo non ha voluto arrivare ovvero al fermo o al rallentamento significativo delle produzioni. Anche le imprese hanno capito la gravità del momento e hanno dimostrato grande senso di responsabilità.

La Brembo ha annunciato la chiusura, per una settimana, di tutti gli stabilimenti bergamaschi, che occupano 3.000 persone, il tempo di effettuare la sanificazione dei luoghi di lavoro e predisporre misure di riorganizzazione del lavoro più confacenti all’emergenza coronavirus. La Tenaris, dal 14 al 22 marzo, lavorerà a marce ridotte in tutti gli stabilimenti lombardi, dove sono occupati oltre 2.000 dipendenti, con la presenza di lavoratori volontari per salvaguardare alcune lavorazioni strategiche nel settore ospedaliero, medicale ed energetico.

Nel bresciano, Alfa Acciai, dove lavorano 700 persone, è già ferma, a scopo precauzionale, da alcune giornate e proseguirà per settimana prossima mentre Flos ha accolto con favore la lettera dei rappresentanti sindacali di fabbrica, a nome dei 150 colleghi, con cui chiedevano la sospensione delle attività impegnandosi a recuperare questa fermata a emergenza conclusa. Alla STMicroelectronics di Agrate e Castelletto, dove lavorano circa 6.000 persone, i delegati di fabbrica, di Fim e Fiom, hanno contrattato con l’azienda un raffreddamento delle produzioni con copertura economica delle ore perse a carico dell’impresa.

Nel cremonese, la Ilta Inox, dove lavorano 310 persone, ha ridotto turni e carichi di lavoro. Ragionamento analogo anche negli stabilimenti nel varesino e nel comasco di BTicino, che impiega più di 2.000 lavoratori. Alla Carcano, azienda di 400 dipendenti nel lecchese, il sindacato ha concordato il fermo delle produzioni e la sanificazione degli ambienti. In provincia di Milano, in IMQ, che conta circa 300 dipendenti, sono stati raggiunti accordi per la gestione dello smart working e dell’articolazione dei turni così come alla D’Andrea, dove sono occupati 120 dipendenti. Alla SecondoMona, dove lavorano 300 dipendenti, su richiesta deli delegati di fabbrica sono stati concessi 5 giorni di chiusura collettiva. L’Iseo Serrature, che occupa 450 lavoratori tra Pisogne (BS) e Rovellasca (CO), pur garantendo il rispetto dei decreti, su sollecito dei delegati di fabbrica ha stabilito una quasi totale chiusura, per due settimane, ad eccezione delle attività strettamente necessarie.

Il protocollo sottoscritto oggi da Cgil, Cisl e Uil, Governo e parti datoriali è una notizia positiva perché mette al primo posto la salute delle lavoratrici e dei lavoratori prevedendo, per le imprese, l’adozione di misure severe e impegnative per garantire la sicurezza. Tra queste misure è prevista la possibilità di sospendere le attività produttive laddove non si riesca a garantire queste tutele. Il blocco temporaneo, o una forte riduzione delle produzioni, resta la scelta migliore per rallentare l’emergenza a partire dalle aziende della Lombardia dove, nonostante le prescrizioni adottate dalle aziende, sono in aumento i lavoratori contagiati.

Ovviamente siamo tutti in attesa delle indicazioni del governo rispetto agli ammortizzatori sociali e ai permessi per assistere i bambini, da troppi giorni a casa da scuola. Questa emergenza ha dimostrato quanto il nostro quadro normativo sul lavoro sia ancora arretrato rispetto ai cambiamenti in atto. Il sindacato, la Fim Cisl in particolare, è da anni che si batte per regolamentare e potenziare lo smart working e per inserire permessi che consentano di conciliare meglio le esigenze di vita con il lavoro. Se Governi e parti fossero state più lungimiranti, certamente, oggi, avremmo maggiori possibilità per gestire l’emergenza.

Questa crisi dovrà anche essere l’occasione per rigenerare i rapporti tra le persone e per riscoprire la solidarietà, quella fatta di responsabilità civile e impegno etico e civico, quella che mette al centro delle azioni di ognuno di noi “l’altro”, ricordandoci che ogni nostra scelta ha delle ripercussioni sulle altre persone, un fatto di cui occorre tenere conto se abbiamo a cuore il bene comune. È questo senso di responsabilità che ha dato vita al Sindacato, che lo ha sempre animato e che, oggi, ci consentirà di rilanciare il Paese, ripartendo dai luoghi di lavoro.

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