Come tutti i reclusi da coronavirus, anche io faccio regolari scorpacciate di televisione e giornali, tutti comprensibilmente monotematici, unanimi nel non trascurare alcun aspetto dell’allarmante scenario che continua ad angosciare le nostre giornate. Fino a propinarci all’infinito le stesse cose con la costante ricerca di una salsa diversa.
Seguo con regolarità anche la comunicazione istituzionale, e in particolare le conferenze stampa delle 18 tenute da Angelo Borrelli. Dai media, però, e dalle parole del commissario governativo non è mai emersa una questione non da poco e che può rappresentare un punto di fragilità – anzi una significativa lacuna – nelle predisposizioni a difesa del dilagare del virus e nelle corrispondenti attività di prevenzione. Chi controlla i migranti irregolari? Ossia il mezzo milione di persone distribuite nei più disparati contesti sociali, dalle grandi stazione ferroviarie ai centri produttivi agroalimentari, dagli ex Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) alle comunità polverizzate nei centri urbani grandi e piccoli? Stiamo parlando di vere e proprie mine vaganti nel tessuto sociale del nostro Paese di cui nessuno all’apparenza sembra curarsi o porsi addirittura il problema.
Come si pensa di raggiungere tutti costoro per renderli inoffensivi o semplicemente per aiutarli a non rimanere essi stessi vittima dell’epidemia inarrestabile? Tra l’altro, sembra che nell’attenuazione, o in qualche caso nella sospensione, delle attività di pubblica utilità (ad eccezione di quelle sanitarie), la lotta all’immigrazione clandestina sia caduta in una sorta di moratoria causata dalla bassa priorità del problema rispetto alle questioni più impellenti e drammaticamente importanti. Moratoria che probabilmente ha depotenziato anche le attività di rimpatrio che, pur ai ritmi massimi consentiti, non avrebbe comunque risolto il problema, ma ne costituiva un deterrente e una parziale soluzione.
Ritengo in definitiva che il problema vada inserito in agenda dal governo e ritengo altresì che esso debba essere affrontato con un’ottica nuova, coerente con la straordinaria riscoperta dei valori che questa terribile epidemia sta facendo emergere. La solidarietà in primis: in questi giorni essa viene capillarmente profusa a piene mani in innumerevoli e straordinari episodi, ma solo fra di noi (italiani aggiungerei); con uno sforzo in più, la stessa solidarietà andrebbe disincagliata dalla rissa politica in cui, in materia di migrazioni, era stata confinata, e rivolta verso la moltitudine di irregolari abbisognevoli anche essi di essere protetti dal progredire inesorabile del male ed allo stesso tempo essere resi inermi nei nostri stessi confronti.
Un atto di solidarietà, insomma, verso di loro, ma benefico anche per noi. Lo strumento dovrebbe essere quello di una sanatoria, magari non banalmente generalizzata, ma permeata per esempio da criteri premiali, con il discrimine della buona condotta e con la contemporanea revisione di ogni provvedimento utile a regolare d’ora in poi il fenomeno migratorio talché l’onere non continui a gravare in maniera preponderante solo sulle nostre spalle.