È una Pasqua del tutto anomala e sottotono, quella che si andrà a celebrare al tempo del Coronavirus. Quest’anno, infatti, le liturgie per la festa più importante della cristianità verranno celebrate a porte chiuse, senza battesimi, lavanda dei piedi o processione del Venerdì Santo, come stabilito dal decreto promulgato dalla Congregazione per il culto divino guidata dal cardinale Robert Sarah.
La data del 12 aprile non cambia, ma la Messa crismale del giovedì potrà essere spostata, valutando i casi specifici dei singoli paesi. Mentre le altre “espressioni di pietà popolare”, della Settimana Santa e del Triduo pasquale, verranno rimandate, verosimilmente – si spiega – alle date del 14 e 15 settembre. Tuttavia, le celebrazioni si potranno seguire nei vari collegamenti streaming o in televisione. Una situazione a cui non si era mai arrivati, che pone la Chiesa in uno stato di eccezionalità, e i fedeli di fronte a un modo del tutto specifico di vivere la Pasqua. Nel silenzio cioè delle proprie case, a cui ormai sono abituati da diversi giorni, come spiega in questa conversazione con Formiche.net monsignor Giovanni Tani, vescovo di Urbino.
Eccellenza, com’è cambiata in questi giorni la vita della Chiesa?
Tutti noi siamo in casa e stiamo vivendo una vita di clausura. Ma quasi tutti i sacerdoti si sono attrezzati per entrare in contatto con i parrocchiani in rete, con diverse iniziative interessanti, che risultano molto gradite. È vero che c’è la Messa del Papa, ma i parrocchiani sono felici di sentire la voce del proprio parroco. È come una messa domenicale o feriale, c’è un rapporto umano dato dal sacerdote che si conosce.
La Cei ha indetto una preghiera nazionale, che arriva dopo il trambusto iniziale sull’apertura o meno delle parrocchie. Quanto è importante che l’Italia sia unita in preghiera, in questi giorni?
La preghiera è la prima forza che i cristiani hanno per vivere la vita in comunione con Dio. C’è un grande appello da parte di tutti a riscoprire la preghiera come un fattore interiore, del cuore e della coscienza, e a rivolgersi a Dio personalmente. Il Vangelo infatti dice: “quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto”. L’invito della Chiesa mi pare possa dare aiuto a riscoprire la dimensione interiore di preghiera. In tutto il mondo si sta creando una rete di preghiera, che possa sovrapporsi alla rete di contagi. E che possa fungere da veicolo di consolazione alla sofferenza di questi giorni.
C’è il rischio reale, in questi giorni, di solitudine per gli anziani e i malati?
I problemi si trovano soprattutto negli ospedali, che oggi sono i luoghi di maggiore criticità. I malati non possono essere avvicinati, c’è una grande difficoltà. Ogni giorno si susseguono vicende che sono emotivamente molto forti. A tutto ciò, la preghiera è l’unica risposta che abbiamo per stare vicini.
Pensavamo che il virus riguardasse solo popolazioni lontane, e la reazione iniziale era di “tenerceli alla larga”. Poi ci siamo accorti che riguardava anche noi, e che forse non esistono i “lontani”. Specialmente nell’epoca della globalizzazione, dove anche la provincia più remota è collegata al mondo intero.
Nessun luogo è lontano e noi lo stiamo sperimentando. Pensavamo la Cina fosse lontana, ma non lo è. Il mondo sta conoscendo un collegamento impensabile, che cambia la nostra visione dell’uomo e della realtà. Questo porta uno sguardo nuovo. Pensavamo che problemi come le epidemie fossero geolocalizzati, e superati nel tempo, ma non è così. Non è una cosa del medioevo.
Le chiese come stanno reagendo?
Le chiese sono aperte, c’è stato un momento iniziale dove si è vissuta un po’ di incertezza. Simbolicamente, vedere la porta della chiesa aperta è un segnale che viene dato alle persone. Qualcuno si ferma e va a pregare, ma non ci si raduna. C’è poi chi dice che la Chiesa non è sottoposta al governo. Questo è vero, però dobbiamo anche considerare che il corpo della Chiesa è insieme, sovrapposto, a quello dello Stato. Sono le stesse persone, la stessa società. I cristiani che si riuniscono non sono esenti dal contagio, o dall’esserne portatori.
La separazione tra Stato e Chiesa, dice lei, all’atto pratico mostra alcuni suoi limiti?
La situazione che stiamo vivendo non è data da un fatto ideologico, in cui lo Stato proibisce di entrare in chiesa e chiede di disperdere la nostra fede. È un fatto concreto, quello di un contagio che va ovunque. Il virus non si ferma, non si può fideisticamente pensare che non entri in chiesa.
Abbiamo visto tanti sacerdoti contagiati, e molti purtroppo deceduti, nel bergamasco. E abbiamo visto il raduno dei Neocatecumenali a Salerno. C’è chi ha commentato ricordando le tentazioni di Gesù nel deserto.
La situazione è chiara, e bisogna avere uno sguardo che accoglie la realtà così com’è. In questo caso specifico, tuttavia, mi pare che ci siano delle fake news, rispetto alla notizia del calice dove si avrebbero bevuto tutti. Il vescovo ha spiegato che sono state dette cose non vere, e che le precauzioni e le norme richieste sono state in realtà osservate.
Il Papa, nella sua intervista a La Repubblica, ha invitato a non sprecare questo tempo e a ritrovare la vicinanza dei propri cari. Da queste giornate di isolamento, è possibile ritrovarne dei vantaggi, riscoprire aspetti dimenticati della propria vita?
La vita in casa costringe molti a una situazione non abituale, e richiede grande attenzione e pazienza. Il Papa ha detto: “i nostri spazi possono essersi ristretti alle pareti di casa, ma abbiate un cuore più grande”. La preghiera aiuta a dilatare il proprio cuore, rendendolo paziente. Nella preghiera ci sono aspetti di incontro personale col Signore, che donano speranza, ampliano gli orizzonti e permettono di vedere anche al di là della morte. La preghiera è soprattutto questo, e ha una funzione di intercessione. Dobbiamo pregare per chi soffre, per chi è in difficoltà, per i medici, per gli infermieri e per chiunque è impegnato nel combattere questa emergenza, con tutto il coraggio dimostrato.