Skip to main content

Se il virus contagia lo Spazio. Astronauti e basi di lancio alle prese con il Covid-19

Il virus riuscirà a superare i confini dell’atmosfera? Per ora, è sicuramente riuscito a colpire il sistema spaziale sulla Terra, le industrie, le basi di lancio e i centri di ricerca. C’è poi qualche preoccupazione per gli astronauti sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), isolati, ma con le difese immunitarie abbassate dalla microgravità. Da notare, in ogni caso, che nella lunga lista di sospensioni e posticipazioni terresti (dalla Nasa alla Germania, fino alla base europea in Guyana francese) mancano all’appello le attività russe e cinesi, su cui permane un riserbo reso ancora più impenetrabile dalla pandemia.

I TIMORI PER LA STAZIONE SPAZIALE

Per quanto riguarda l’Iss, il prossimo arrivo di astronauti è programmato per il 9 aprile. Per ora resta tutto confermato, considerando che la quarantena di due settimane rientra nella procedura standard di “health stabilization” a cui sono sottoposti tutti gli astronauti prima di partire dal cosmodromo russo di Baikonur, nel bel mezzo della steppa del Kazakistan. Si stanno comunque valutando misure aggiuntive, tra cui l’eventuale estensione delle due settimane che, secondo media americani, sarebbe stata richiesta dall’agenzia russa Roscosmos. Il timore è duplice. Prima di tutto, il rischio di portare il virus sulla stazione, lì dove l’equipaggio presente da mesi ha un sistema immunitario indebolito dalla permanenza in assenza di gravità. Poi, si temono i contatti tra gli addetti ai lavori che arriveranno a Baikonur, visto che le operazioni di lancio riuniscono sempre un gran numero di persone.

I MESSAGGI DALLO SPAZIO

Per ora, dall’Iss sono arrivati solo messaggi positivi, per lo più di sensibilizzazione per chi è sulla Terra. I profili Twitter degli attuali abitanti della stazione pullulano di inviti a rispettare la quarantena (gli astronauti sono ben abituati a farlo) e che sostengono (con immagini spettacolari del Pianeta, senza confini) la via della risposta unitaria da parte degli Stati, considerando che l’Iss è di per sé un esempio di grande collaborazione internazionale. Messaggi di questo tipo sono arrivati anche da gli italiani Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti, il primo rivolgendo un videomessaggio #iorestoacasa per tutti i connazionali, la seconda sensibilizzando su Twitter anche i più giovani: “Una volta sono restata a casa per 200 giorni di seguito, ma era una casa un po’ particolare”.

IL PROGRAMMA COMMERCIAL CREW

Tutto questo non frena comunque i timori di un impatto del Covid-19 sulle missioni in programma, con ritardi che rischiano di essere piuttosto lunghi e che coinvolgono l’intera filiera spaziale. Negli Stati Uniti si guarda soprattutto al primo volo con equipaggio della Crew Dragon, la capsula realizzata da SpaceX (con diversi ritardi) che la Nasa spera possa finalmente affrancare gli astronauti americani (e non solo) dal ricorso alla navicella russa Soyuz, una via d’accesso alla stazione dalla dismissione dello Space Shuttle nel 2011. La missione con equipaggio è prevista per metà maggio, come confermato appena due giorni fa dalla Nasa. A dimostrare la fiducia per il rispetto della tabella di marcia c’è la possibilità di accredito per la stampa sul sito dell’agenzia.

IL FRAMEWORK DELLA NASA

Sono altri i programmi che rischiano invece di subire pesanti ritardi. Ieri, in seguito al riscontro di diversi casi positivi al coronavirus, il numero uno della Nata Jim Bridenstine ha elevato allo Stage 4 del protocollo predisposto per l’emergenza due centri: il centro di assemblaggio di Michoud, a New Orleans, e lo Stennis Space Center, in Mississippi. Si aggiungono all’Ames Research Center californiano, unico altro centro Nasa arrivato al livello 4. Se lo Stage 3 impone il telelavoro escludendo però il personale considerato “mission-essential”, il livello successivo determina di fatto la chiusura temporanea, ad eccezione delle attività tese a “proteggere la vita e le infrastrutture critiche”. Come specificato da Bridenstine, ciò colpirà il lavoro sul lanciatore Space Launch System e sulla capsula Orion, per cui sono state sospese le attività di test. Un problema per il programma Artemis che punta a riportare l’uomo sulla Luna entro il 2024, visto che il lanciatore e la capsula in questione sono protagonisti del progetto americano. Una prima missione, priva di equipaggio e senza allunaggio, è prevista per il prossimo anno.

STOP AI LANCI DA KOUROU

Situazione simile alla base di lancio europea di Kourou, in Guyana francese, uno dei territori d’oltremare della Repubblica transalpina. Lunedì scorso, in linea con i dettami di Parigi, Arianespace (che gestisce la base) ha annunciato la sospensione delle campagne di lancio. A subire per primo lo stop delle attività è stato il lanciatore made in Italy Vega, che sarebbe dovuto tornare al volo alla fine del mese dopo l’insuccesso dello scorso luglio, tanto che personale di Avio era già presente a Kourou. A tal proposito, l’azienda di Colleferro ha comunicato di essere “in contatto continuo con le autorità locali in Guyana per garantire le massime condizioni di sicurezza sia per il proprio personale alla base che per il lanciatore Vega”, predisponendosi “a riprendere le attività di preparazione del lancio appena possibile”.

CHI SI FERMA

Non è di certo un caso isolato. Come nota SpaceNews, anche l’americana Virgin Galactic sta valutando se posticipare il lancio dimostrativo del vettore LauncherOne, realizzato in California e con il debutto orbitale programmato ad aprile a bordo di un 747-400 appositamente modificato per l’aviolancio e denominato “Cosmic Girl”. Eppure, sospensioni e posticipazioni non si sono ancora tradotte in allarmi per l’intero settore. Secondo un report di Quilty Analytics (citato dal sito americano), lo Spazio potrebbe accusare meno l’impatto del coronavirus, visto che i clienti (soprattutto istituzionali) avranno comunque bisogno, e forse ancora di più, di connettività, telecomunicazioni e dati satellitari, ormai indispensabili in situazioni di crisi.

TRA AERO E SPAZIO

Un segnale simile è arrivato dalla tedesca OHB. Il ceo Marco Fuchs ha spiegato che “l’industria spaziale, a differenza di molte altre, non è a rischio a livello di ricavi; ci possono essere ritardi, ma non cancellazioni perché la domanda non sta cambiando”. Il discorso è pressoché opposto a quello dell’aviazione, la parte “aero” del connubio aerospaziale. Qui si registrano molteplici gridi d’allarme. L’ultimo è arrivato da Alexandre de Juniac, direttore generale e ceo della Iata (associazione che riunisce oltre 200 compagnie aeree): “Fermare la diffusione del Covid-19 è la massima priorità, ma i governi devono essere consapevoli che l’emergenza sanitaria è diventata una catastrofe per l’economia e l’aviazione”. Il trasporto aereo si prepara ad affrontare una situazione peggiore del post-11 settembre e della crisi finanziaria globale del decennio scorso.



×

Iscriviti alla newsletter