Nel suo libro In prima fila. Quale posto per l’Italia nel mondo? (edito da Guerini Associati), Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano in Iran, Australia e Stati Uniti e con un passato da consigliere diplomatico di Palazzo Chigi (era lì, con Gianni Letta, l’11 settembre 2001) avanza una proposta che con l’emergenza e la crisi figlie del coronavirus sembra tornare d’attualità: un Consiglio per la sicurezza nazionale. Formiche.net ha intervistato l’ambasciatore Castellaneta per analizzare la gestione dell’emergenza e le conseguenze anche a livello internazionale.
Questa emergenza, che è prima sanitaria ma che tocca anche la geopolitica (pensiamo agli aiuti internazionali), dimostra la necessità di un Consiglio per la sicurezza nazionale?
C’è una differenza sostanziale tra un Consiglio per la sicurezza nazionale e i commissari straordinari: il primo è un organo permanente che monitora la situazione delle minacce alla sicurezza del Paese continuamente. Nel libro faccio l’esempio dell’attentato alle Torri gemelle: in quel caso la risposta c’è stata ma è servito partire da zero, da pratiche non ancora collaudate. Penso a un organo burocratico e non politico sull’esempio statunitense.
Un organismo composto da più persone?
Sì, penso a un gruppo importante di esperti permanenti che poi quotidianamente si interfaccino con i dicasteri interessati.
Dovrebbe svolgere anche la funzione, in casi d’emergenza come quello attuale, di centrale acquisti?
Sicuramente no. Anche perché la Farnesina ha da poco ripreso le competenze sul Commercio internazionale. Deve essere un ruolo di raccordo e impulso, una specie di commissario ad hoc che però lavora quando non ci sono crisi. Anzi, soprattutto quando non ci sono le crisi. Basti pensare che dell’emergenza Covid-19 si parla ormai da mesi, tanto che alla fine dell’anno scorso alcune società avevano puntato su una crisi economica derivata da un’emergenza sanitaria.
Questa emergenza aprirà a riforme importanti tra cui l’istituzione di questo Consiglio?
Aprirà sicuramente la strada a una serie di riforme che erano state un po’ messe da parte per le varie situazioni politiche ed economiche. E il Consiglio per la sicurezza nazionale è uno degli aspetti ma pensiamo anche, più in generale, al rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio.
Pensando alla questione degli aiuti, crede che il coronavirus possa ridisegnare gli equilibri internazionali?
Questa pandemia sta un po’ semplificando la politica estera riconducendola a relazioni tra blocchi – gli Stati Uniti, la Cina e la Russia che tradizionalmente giocano per proprio conto – e dimenticandosi le crisi locali come quelle in Medio Oriente. Nell’interazione di questi tre blocchi dobbiamo considerare il significato degli aiuti senza però pensare che attraverso di essi si possano formare delle alleanze: è più un momento di condivisione e di comunicazione.
L’Europa dove si colloca?
Deve rafforzarsi trovando un equilibro tra globalismo e patriottismo. Nel senso che si può essere patriottici all’interno di un gruppo quale è l’Europa. Che il premier Giuseppe Conte difenda gli interessi italiani è cosa giustissima ma li deve difendere, come sta facendo, all’interno di un quadro europeo.
Ci spieghi meglio.
Se le istanze di Italia, Spagna e Francia non vengono accolte, non è un danno solamente per queste tre nazioni ma è un danno per l’intera Unione europea.
È la grande occasione per l’Europa?
Dopo la grande paura ci potrebbe essere la ricostruzione, come accaduto con la spinta a unirsi dopo la Seconda guerra mondiale. Serve un’Europa meno burocratica, più attenta ai bisogni dei cittadini, che venga costruita dal basso e non dall’alto come fu in passato. Ma c’è ancora una certa miopia da parte di alcuni che dobbiamo superare per rafforzare l’Europa.
Secondo molti gli Stati Uniti non hanno fatto abbastanza per aiutare l’Europa. Lei che cosa ne pensa?
Non credo ci sia bisogno che gli Stati Uniti corrano in soccorso dall’Europa in questo momento. Il soccorso ce lo dobbiamo dare noi come Europa. Gli Stati Uniti non hanno bisogno di dare dimostrazione di particolare generosità e solidarietà, l’amicizia è già nei fatti. Il grande aiuto che può arrivare dagli Stati Uniti è la decisione di rilanciare la propria economia, che ha rapporti diretti con quella europea, e liberalizzare il commercio almeno per aree geografiche equivalenti, per evitare che si arrivi a una nuova Grande crisi tipo quella del 1929.
Questa risposta c’è stata?
Sì. Basta vedere l’intesa raggiunta tra democratici e repubblicani sul piano da 2 trillioni di dollari, che aggiungendo gli aiuti indiretti arrivano a 5: è come i Pil di Francia e Italia messi assieme.
Dobbiamo fare attenzione agli aiuti cinesi? Potrebbero diventare un’arma per dissuaderci su temi come il 5G?
Non credo ci pensino neppure a fare uno scambio simile. Credo che gli aiuti cinesi siano più questione di comunicazione: essendo partita la pandemia da lì vogliono riscattare questa immagine negativa.