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Cosa resterà?

Perché alcuni sono convinti che “dopo” cambierà tutto?
(Tolte le difficoltà economiche, che è il tema grandissimo)

non penso proprio che durerà oltre un semestre – tuttalpiù intimamente – e socialmente, l’impatto, successivo, nelle relazioni.
A un certo punto si riaccelererà, tutto, ancora di più. Come quando le scuole iniziano a correre per terminare il programma.
Come quando il Paese termina solo agli sgoccioli i padiglioni dell’Esposizione Universale.
Come quando stai per andare in stampa, e la prima pagina è da buttare.

Torneranno a pesare il portare giù l’immondizia, il cane.
Tornerà il caffè sospeso, e le varianti sul tema, perché le cose belle già c’erano prima.
E alle mostre, al cinema, al teatro, riandrà chi c’è sempre andato.

I ristoranti saranno pieni, oppure no, nella stessa misura del 2008, del 2019.

E sarà felice di uscire insieme chi già lo era prima. Certo sulle prime sembreranno belli anche i lunedì.

Poi la lista degli scontenti crescerà. Per coloro che non hanno saracinesche da rialzare.
E per chi tornerà in ufficio.
Per chi con lo smartworking sente alla lunga di aver perso più confort che oneri.

Per chi troverà i musei ancora chiusi (la ributto lì convintamente: organizziamo per il dopo una estesa offerta del patrimonio culturale regalandoci più ore di bellezza? Anche come immagine del Paese).

Secondo me la didattica a distanza continuerà ad essere osteggiata, e gli strumenti e le scoperte le conserveranno solo coloro che già ne avevano fatto esperienze anche prima.

L’abilitazione d’ufficio dei medici non risolverà per le generazioni successive i dubbi sul loro futuro, con giovani donne e uomini, dottori, che non avranno più chance di prima.

Con i concorsi che resteranno il regno delle lungagini, delle burocrazie, dei buchi.

In più avremo assaggiato il gusto di quando le cose si possono fare in poco tempo, convogliando le forze, e tagliando i passaggi.
Quindi ancora più insopportabili saranno i lacciuoli. Ma non per questo se ne avrà la forza normativa per superarli, ancora.

Cosa potrebbe cambiare?
I ragazzi del sud rientrati potrebbero scegliere di restare vicino al mare, metter su famiglia, abitare a metà prezzo nelle case con giardino.
Ma non ci credo che accadrà. Perché io le ho assaporate ogni anno queste ondate “emozionali” e ho visto sempre che poi alla lunga si tornava allo smog, appena il mare agitato faceva prevalere l’odore delle alghe ammassate, e i ristoranti sul mare chiudevano, e anche le gelaterie. Lì dove i cinema multisala non esistono. E il film resta uno solo anche due, tre settimane.
Certo, potrebbe cambiare tutto, ed essere loro a tenere tutto aperto, tutto acceso, tutto vivo. Interrompendo l’esodo. Quindi quando dite che tutto cambierà pensate a questo?
Vi dico che il mondo non cambierà. La Cina continuerà a produrre più di noi. L’America a votare Trump, e noi ad aspettare il Salone del Mobile a Milano e le agende saranno più oberate di prima per tutti gli eventi posticipati da recuperare, che si accavalleranno, rubandosi tempo, soldi, e personaggi a vicenda, il prima sembrerà un brutto ricordo, non talmente lacerante da spingere a un fruttuoso “Dopo Guerra”, non si sentirà neanche la nostalgia dei canti alla finestra perché già mentre scrivo non trovano tutti d’accordo, ognuno continuerà i suoi Karaoke per i fatti propri, come prima.
Gli ospedali non avranno improvvisamente maggiori fondi, e il debito pubblico prima o poi imporrà a qualche governo di tagliare bonus, ecc ecc. Le stampanti 3D per il primo mese dell’emergenza non hanno dato supporto, da alcuni giorni hanno iniziato a entrare nel dibattito e nella ricerca e produzione.
Le parti sociali avranno davanti gli stessi quesiti di prima e purtroppo la stessa assenza di classe dirigente all’altezza dei valori e dei rischi in gioco.

I bimbi, i ragazzi, sono queli che più di altri staranno facendo i conti con i propri obiettivi, staranno più attenti anche loro i primi giorni, forse mesi, prima di esprimere un desiderio. Li possiamo immaginare mentre si domandano se è bene che si siano realizzati molti dei loro sogni proibiti. (Quando avrebbero voluto saltare la lezione a tennis, a equitazione, a scuola. Per passare tutto il tempo davanti l’iPad).

Personalmente sono stata ospite in questo periodo, a distanza, di scuole, radio, ecc, e ho trascorso tutto ieri a rispondere e a leggere i messaggi dei tredicenni su Telegram, moderati dal loro docente di lettere. Abbiamo intervistato insieme un medico del 118 di Genova. Siamo passati dalle leggi morali e dello Stato ai temi di genere e potere.
Nel loro alfabeto del Bene Comune, abbiamo analizzato la “L”. Che per me, mi sono accorta, racchiude quasi tutto. L di Lisa la mia bimba che vive la prima elementare certamente in un modo senza eguali. Lavoro, Libri/librerie, Lui & Lei, Lottare, ecc ecc fino ovviamente ai temi del Learning (ed Elearning/Apprendimento a distanza e gli strumenti riduttivi che erano le nostre Lavagne con quel momento in cui, cose importantissime, appena scritte, si sarebbero dovute già subito sacrificare per far posto ad altre che avrebbero sostituito quelle. Col gesto del cancellare a cui ad un certo punto l’insegnate arrivava, dopo aver combattuto fino all’ultimo con se stesso per decidere quale pezzo resistesse, nell’angolo. Rispetto agli strumenti di adesso che ci consentirebbero benissimo di aggiungere senza sottrarre. Rivoluzione). Questo ragionamento però mi riporta al passato, alla mia tesi adottata come libro di testo, Lettera per email a una professoressa. (In realtà c’era anche una parte in greco antico perché avevo il pallino fisso che innovazione e tradizione fossero alleati non in alternativa l’una all’altro).
Col sottotitolo:
“Quando la lezione a distanza è quella senza tecnologia”.
Oggi Facebook, quel social network che noi conosciamo bene ma già un paio di generazioni no, su cui il Premier Giuseppe Conte ha annunciato i suoi decreti, (una webserie seguitissima che ha accresciuto più follower che informazioni), mi ha ricordato miei vecchi articoli sul Corriere, sul sistema scolastico. Il primo in assoluto che pubblicammo era sulle lavagne elettroniche, partendo da quelle Canadesi, dove venivano già usate nel 2005, quando andai in visita ospite di un “viceprincipal” nell’Ontario.

Il secondo ricordo era invece un dibattito sulle liberalizzazioni, a Palazzo Marino, per un mio libro edito da Rubbettino editore, in cui sicuramente c’era anche lì la proposta sugli orari estesi per i luoghi culturali. Era il 2012 e quindi con fortune alterne ma molti di quei temi siamo riusciti a farli penetrare nel dibattito politico e nelle aspettative e richieste dei cittadini così come nelle risposte e condivisione dei sindacati.

Il terzo ricordo che mi riproponeva era un segnalibro per la fiera dei libri a Milano, con la presentazione di È il futuro, bellezza.

Adesso chiudo che non riesco più a leggere lo schermo si è riempito di notifiche da WhatsApp. Ora è il gruppo: “Amici al tempo del Corona”.

Vedete. Non cambia niente e non cambieremo neanche noi così tanto.

La voglia di vederci noi la coltivavamo con pervicacia anche prima. Tant’è che il nome del gruppo riportava di solito una data. Quella che qualcuno fissava per l’aperitivo. Spesso subiva sensibili modifiche. Perché non sempre riuscivamo a far quadrare le date.

Ecco, penso saremo sempre uguali. Alle prese con i calendari, con gli appuntamenti dettati da agende diverse dalle nostre.
Che cercheremo di far conciliare tutto, e chi ci riusciva, ci riuscirà ancora. E chi non ci riusciva prima, non ci riuscirà neanche dopo.

Così come la nostra prima uscita.
Usciremo e basta.

Non sarà come, dove e forse neanche con chi.

Forse potremo rifarci l’anno prossimo, al secondo Dantedì della nostra vita.

Auguro a ognuno di trovare il proprio Virgilio, (o di diventarlo per qualcuno) più che Beatrice, Paolo o Francesca.
A me, anche prima del Covid19, è sembrata quella la sfida più difficile.

Fin qui, persa, della nostra società.



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