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Covid-19, se la Russia torna (zona) rossa. L’analisi di Igor Pellicciari

Di Igor Pellicciari

Per interrogarsi sulla reale diffusione del Covid-19 in Russia e verificare i numeri ufficiali insolitamente bassi del contagio di quello che è il Paese europeo più vicino – non solo geograficamente – alla Cina (per non dire del rapporto privilegiato che ha con l’Italia), è bene affidarsi alle proiezioni e pareri dei virologi. E solo a loro.

Allo storico/analista di turno tocca partire da queste ipotesi per contestualizzare politicamente il dato scientifico, senza metterlo in discussione.

Ebbene, da almeno un mese gli esperti veri, russi e non, dicono che è molto probabile che il virus abbia fatto la sua comparsa da tempo in Russia – precisamente a cavallo tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e che – seguendo il modello di quanto fatto anche in altri Paesi europei nelle primissime fasi del contagio (vedi Germania) – le vittime che ha causato siano state registrate come “polmoniti anomale”.

Questo non ha causato inizialmente particolare allarmismo in un Paese dove l’inverno è la stagione dell’anno più caratterizzante del clima locale, da sempre foriero di malattie più o meno gravi legate all’apparato respiratorio, non sempre censite con precisione, soprattutto nei confusi decenni che hanno seguito il crollo dell’Urss.

È infatti fenomeno piuttosto recente in Russia il sostanziale miglioramento della qualità della sanità pubblica. Rientra tra i provvedimenti presi a favore di quella classe medio-bassa urbana (per lo più collocata nella funzione pubblica) che è la spina dorsale del consenso reale di Vladimir Putin nel Paese.

Fino a pochi anni or sono, le soluzioni per chi si ammalava in Russia erano un “fai-da-te” censitario, con nicchie di sanità privata di qualità per chi poteva permettersela, e un misto di soluzioni sciamanico-religiose-tradizionali (la cultura spirituale russa ne è piena) per gli altri. Per non dire del mito duro a morire di una miracolosa medicina autarchica del periodo sovietico, spesso in possesso di non meglio precisati rimedi segreti per tutto.

Aspetto importante da considerare nello spiegare la eventuale diffusione precoce del Covid-19 in Russia  è la forte presenza nel Paese di visitatori cinesi (imprenditori, studenti, turisti), concentrati in particolare a Mosca.  Il loro arrivo è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni, dopo che il Cremlino si è politicamente avvicinato a Pechino, alla ricerca di nuove alleanze strategiche in seguito all’isolamento sofferto per la crisi Ucraina.

Il punto è che questa presenza cinese ha continuato ad affollare indisturbata Mosca a emergenza del Covid-19 già conclamata in Cina e altrove.

In un articolo su Dagospia del 28 Gennaio, facevo notare la stranezza – mentre l’Italia si accingeva ad interrompere i voli diretti con la Cina – di decine di migliaia di cinesi giunti in Russia per festeggiare il loro Anno Nuovo, accolti da una Mosca piena di scritte cinesi in tema e con il sindaco Sergey Sobyanin intento ad estendere la durata delle ricche luminarie natalizie fino ai primi di febbraio.

Tutto questo, quando la fobia del Coronavirus era già diffusa a livello planetario. Il blocco dei voli e delle frontiere con la Cina è stato introdotto da Mosca solo in un secondo momento, a rientro dei cinesi nella madrepatria concluso (e, si badi – a differenza di quanto ha fatto Roma – in accordo con Pechino). E comunque in tutto il periodo che è seguito, Mosca è rimasta hub di transito aperto per moltissimi voli dall’Europa per la Cina – e viceversa.

Dal canto loro, i media hanno dato al virus l’apertura incontrastata dei notiziari solo di recente (per esempio l’8 marzo tutta l’informazione era quasi esclusivamente dominata dal summit Putin-Erdogan a Mosca e l’11 marzo dall’intervento del presidente sulle riforme costituzionali alla Duma).

Oggi l’informazione entra nei dettagli di come il virus sia pericoloso e si estenda in Europa con ampia copertura di quanto avviene in Italia, Paese piuttosto amato dai russi. Ci si sofferma molto sulle misure che vanno prese individualmente per limitare il contagio, rimarcando tuttavia che la Russia abbia pochissimi casi e che comunque un eventuale outbreak non la troverebbe impreparata.

Come spesso accade nei momenti di crisi della Russia, il binomio politico prima che sanitario cui ci si rivolge nella narrativa pubblica è quello dello spirito “collettivo” di disciplina militare e sacrificio e del leader carismatico, capo indiscusso.

Se i media minimizzano i numeri nel Paese ma non la pericolosità del virus e danno l’impressione di volere gestire la paura piuttosto che sradicarla, il sentire popolare in Russia ha anticipato di gran lunga i tempi e toni del mainstream, iniziandosi a preoccupare seriamente della diffusione del virus già dalla fine di gennaio.

Il principale timore riguarda la diffusione nelle zone urbane ad altissima densità di popolazione, vero tallone d’Achille dello sbilanciamento demografico di un Paese che è il più esteso per territorio al mondo, ma dove si calcola che il 12% dei cittadini viva nella sola capitale.

È probabile che – anche in presenza di numeri più consistenti di Covid19 – la diffusione dei dati venga trattenuta dal timore di creare tensione e panico sociale difficile da gestire capillarmente per un establishment che da sempre preferisce assumere la decisione sbagliata, piuttosto che ammettere di non avere il controllo della situazione.

Ed è proprio sul modello di gestione del contesto sociale in crisi che sembrano esserci oggi le principali incertezze, con un livello di governo tecnocratico che già in occasione della reazione alle manifestazioni di piazza dell’anno scorso ha dimostrato di essere diviso al suo interno tra atteggiamenti troppo permissivi o troppo repressivi.

C’è una diffusa incertezza non tanto sull’efficacia quanto sulle conseguenze nel medio-lungo periodo che potrebbe avere un lockdown sul modello cinese, con dispiego di forze armate e regole di ingaggio da legge marziale.

Ugualmente il “modello Boris Johnson” dell’immunità di gregge poteva essere semmai tollerato\imposto nel periodo sovietico (basta vedere come fu gestito il dopo-Chernobyl) ma oggi non verrebbe compreso appunto da quella classe medio-bassa che il presidente ha rimesso al centro del sistema politico e che si sentirebbe cosi abbandonata.

In attesa di vedere quale “modello” verrà utilizzato, l’unica certezza per lo storico/analista è che al momento attuale – a Mosca come ad Hong Kong – il Covid-19 ha fatto svanire all’improvviso le proteste di piazza dell’opposizione. E ci vorrà molto tempo prima che tornino.



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