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Perché il decreto Cura (forse) Italia e non le aziende

Di Stanislao Chimenti e Roberto Spada

Secondo quanto si apprende dagli organi di stampa è stato approvato Il decreto-legge recante misure urgenti a sostegno dell’economia (il cosiddetto “Dl Cura Italia”) all’esito di ore con ritmi serrati di studio, elaborazione e confronto tra forze di maggioranza, opposizione, parti sociali e istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di una gestazione indubbiamente molto complessa che però, mai come in questo caso, giustificava la massima urgenza.

La situazione è in continua evoluzione e, letteralmente, si modifica ad horas. In questo contesto, le valutazioni sono necessariamente a primissima lettura perché il Dl Cura Italia sembra in larga parte invariato rispetto al testo circolato in bozza nella giornata di ieri. Tuttavia non possono escludersi ulteriori variazioni, anche rilevanti, soprattutto quando il Dl dovrà essere convertito in legge.
Operata questa necessaria premessa, è possibile svolgere alcune considerazioni preliminari, con riserva inevitabile di opportuni approfondimenti successivi.

In primo luogo, è opportuno ribadire che la crisi Covid – 19 ha colpito taluni settori dell’economia per i quali l’impatto è stato devastante: turismo, settore alberghiero, ristorazione, commercio, artigianato, professioni. Le misure, dunque, debbono approntare sostegno per categorie, più che per fasce reddituali. D’altra parte, il Dl Cura Italia sembra andare nella direzione giusta nella misura in cui, ad esempio, in relazione alla sospensione dei mutui, ancora la concessione del beneficio non già al reddito annuale dichiarato, bensì a una autocertificazione riguardante il fatturato del trimestre.

Ed è evidente infatti che quello del reddito annuale, riferendosi all’annualità precedente, sarebbe un dato marcatamente anacronistico. Sempre con riferimento ai mutui, deve pure valutarsi positivamente il fatto che, nella relazione illustrativa circolata con la bozza di Dl Cura Italia, si introduce il concetto di “abitazione principale” e non già quello di “prima casa” che, come già in precedenza rilevato, potrebbe recare effetti distorsivi. Ed è però opportuno che questa dicitura, nuova per il nostro ordinamento, non resti confinato alla relazione illustrativa, ma venga adottata anche nell’articolato definitivo del Dl.

Di contro, deve essere criticato il meccanismo di sospensione che disciplina gli adempimenti fiscali sia in materia di versamento delle imposte che in materia di obblighi dichiarativi. Questa misura, molto importante, deve prevedere non solo la sospensione che deve essere generalizzata visto il contesto di assoluta eccezionalità e paralisi, ma un opportuno slittamento di tutti i termini successivi, quale logica conseguenza della rimodulazione dell’obbligo. Al contrario, il Dl Cura Italia prevede per la generalità dei contribuenti e delle imprese un rinvio (ma l’espressione appare impropria) della scadenza dei versamenti di oggi, 16 marzo 2020 (si pensi ai versamenti IVA e ritenute) alla data del prossimo 20 marzo.

In aggiunta e diversamente, il Dl Cura Italia prevede solo per taluni contribuenti (imprese, ditte individuali e professionisti) individuati in ragione della soglia di fatturato (ad oggi parrebbe non superiore ad uno o due milioni di euro) ovvero per determinati settori della filiera particolarmente colpiti (turismo, trasporti e settori ricreativi), il rinvio della scadenza dei versamenti (con scadenza nel periodo 8 marzo – 31 maggio) alla data del prossimo 31 maggio con possibilità di una rateizzazione di cinque rate mensili.

Tale ipotesi di rinvio che come detto oltre di per sé a non essere connotata da profili di generalità nei riguardi di tutti i contribuenti, deve essere respinta, giacché finirebbe soltanto per rinviare la crisi di liquidità per pochi giorni e, in presenza di determinate condizioni soggettive, solo di qualche mese; ma è impensabile che la liquidità oggi scomparsa, venga nuovamente conseguita in così breve tempo, soprattutto se si pensa che, come è possibile rilevare, le misure restrittive saranno ancora in vigore per almeno identico periodo; e, in ogni caso, la crisi economica sarà di ben maggiore durata. In questo modo, dunque, la crisi di liquidità non solo e non tanto verrebbe rinviata, ma finirebbe per essere addirittura aggravata.

Sul punto occorrerebbe invece valutare e studiare provvedimenti straordinari che consentano di prevedere sospensioni o lunghi piani di rateizzazione (ad esempio di due o tre anni con rate trimestrali) in particolare per le scadenze che le imprese e le partite Iva dovranno fronteggiare nel mese di giungo/luglio per il versamento del saldo delle imposte dirette (Ires, Irpef e Irap) e senza pensare agli anticipi d’acconto per l’anno 2020. Quanto agli obblighi dichiarativi/comunicativi, il Dl Cura Italia rinvia al 30 giugno gli adempimenti tributari le cui scadenze sono comprese nel periodo dall’8 marzo al 31 maggio 2020 (è il casoad esempio, della dichiarazione annuale Iva mentre per altri adempimenti, invece, come le comunicazioni dei dati relativi al 730 precompilato non opera alcun rinvio).

Anche sul fronte degli adempimenti dichiarativi sono auspicabili e necessarie forme di proroga generalizzate e più ampie e già rivolte alle dichiarazioni fiscali annuali dei redditi. Provvedimenti di più ampio respiro e di carattere strutturale permetterebbero, in tale fase assai delicata, una maggior pianificazione e organizzazione del lavoro e delle risorse (dipendenti e professionisti) coinvolte.
Per quanto attiene invece ai rapporti con l’amministrazione finanziaria, il Dl Cura Italia sospende tutti i termini dei versamenti che scadono nel periodo dall’8 marzo al 31 maggio 2020, legati alle cartelle esattoriali, agli avvisi di accertamento esecutivi dell’Agenzia delle Entrate nonché agli avvisi di addebito emessi dagli enti previdenziali.

I versamenti dovranno essere effettuati in un’unica soluzione entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione, ossia entro il 30 giugno 2020 e dunque, anche in tal caso, cagionando solo un brevissimo differimento dell’obbligo. Si prevede, inoltre, la sospensione dei termini delle attività di controllo e di accertamento, di riscossione e di contenzioso da parte dell’amministrazione finanziaria.

Se da un lato tali disposizioni possono essere accolte positivamente vista le attuali difficoltà e paralisi in cui versano le imprese e i contribuenti, dall’altro non si può che disapprovare l’ipotesi, prevista nel Dl Cura Italia, di un aumento di due anni e in via generalizzata del possibile periodo di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate (in sostanza, il controllo sull’anno 2015 non scadrebbe più a fine 2020 ma a fine 2022). Tali ipotesi debbono essere espunte dal testo e opportunamente calibrate, quanto meno, con un nuovo calendario di obblighi che slitti opportunamente, senza previsione di “riapertura” dei termini di accertamento.
Diversamente, le misure si riveleranno non tanto e non solo inefficaci, quanto addirittura controproducenti e penalizzanti.

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