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Da debacle a vittoria. Lo shift della Cina passa per l’Italia. Analisi di Pelaggi

Di Stefano Pelaggi

Nel mezzo dell’emergenza sanitaria Covid-19 in Italia la pressione cinese per costruire una narrazione alternativa sull’origine del virus e sul successo di Pechino nella gestione della pandemia è sempre più evidente.

Pechino ha inizialmente tentato di modificare la percezione dell’opinione pubblica sull’origine della pandemia, alcuni articoli in cui i primi casi di Covid-19 venivano ricondotti a Paesi della regione o agli Stati Uniti sono stati pubblicati in riviste scientifiche e ripresi dalla stampa cinese. Il cambio di strategia è avvenuto dieci giorni fa, quando un funzionario di Pechino ha apertamente messo in discussione l’origine del virus. Fino a quel momento non era mai stata contestata l’origine del Covid-19, neanche nella stampa cinese.

Le ragioni dell’intensificazione della pressione cinese per costruire una narrazione sulla pandemia sono molteplici, dalla necessità di mostrare l’efficienza dell’apparato statuale all’opportunità di rilanciare la proiezione del Paese al di fuori dei confini nazionali. L’emergenza coronavirus in Italia è anche un’occasione per Pechino di rinforzare i rapporti con il nostro Paese. La decisione del governo Conte, presa senza il sostegno del ministro degli Esteri Di Maio, di bloccare i voli da e per la Repubblica Popolare cinese non fu accolta bene a Pechino. La scelta si è rivelata errata in quanto l’Italia non ha potuto monitorare gli arrivi di cittadini italiani dalla Cina e la ricostruzione della filiera del contagio è tuttora ignota. Le conseguenze del blocco dello spazio aereo nelle relazioni sino italiane avrebbero potuto essere molto più gravi. Il Presidente della Repubblica Mattarella è dovuto intervenire direttamente, rivolgendosi al popolo cinese per esprimere la solidarietà italiana.

Non appena i numeri dei contagi italiani sono stati resi noti la macchina della propaganda di Pechino si è immediatamente messa in moto. L’idea di una lotta comune italiana e cinese, contro un nemico invisibile come il coronavirus, vissuta in un clima di fratellanza dai due paesi è la narrazione che Pechino sta tentando di imporre all’opinione pubblica. Molti commentatori internazionali hanno descritto la strategia di Pechino come una Belt and Road sanitaria. Negli articoli apparsi in questi giorni che sostengono la validità dell’approccio cinese è sempre presente una sorta di apologia delle capacità della struttura del Partito Comunista cinese. Un modello dove nel momento dell’emergenza le libertà personali vengono meno e la necessità di una mobilitazione per la difesa della collettività resta l’unica possibile opzione. Ma la strategia di contenimento adottata da Pechino è stata incentrata su un approccio autoritario, modello non applicabile in Italia o in altri Paesi europei.

Non appena le prime misure per contenere la pandemia in Italia vengono rese note la Repubblica Popolare cinese mette in moto una vera e propria macchia della propaganda. Il 10 marzo il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha comunicato sul sito della Farnesina di aver avuto un colloquio telefonico con il suo omologo cinese Wang Yi. Nella telefonata Pechino ha offerto aiuto all’Italia, sotto forma di invio di materiale e personale specializzato, tecnici e medici. In un primo momento si è parlato di donazione, poi la Farnesina ha rettificato specificando che si trattava di un acquisto di materiale sanitari come ventilatori polmonari, tute, mascherine e tamponi per i test. Scoppia una polemica, a cui fa seguito nei giorni immediatamente successivi un comunicato della Croce rossa cinese che comunica la donazione di materiale sanitario. L’aereo proveniente dalla Cina viene accolta dallo stesso ministro degli Esteri italiano all’aeroporto insieme all’ambasciatore cinese e tutto viene trasmesso con una diretta sui principali social network. Una modalità irrituale che è stata definita eccessiva da numerosi giornalisti, anche alla luce delle donazioni e degli aiuti provenienti da altri Paesi. Nei giorni immediatamente successivi le principali aziende cinesi offrono aiuti all’Italia, da Xiaomi a Alibaba fino a Huawei.

La Cina dopo aver sconfitto la pandemia offre il suo aiuto agli altri Paesi, mostrandosi come un modello di efficienza e un attore benevole nell’arena internazionale. Si tratta di un modello ben collaudato nei Paesi in via di sviluppo, sia nella regione asiatica sia in Africa. Una serie di materie prime e un supporto tecnico scientifico. Resta difficile comprendere l’utilità di una cooperazione di questo tipo in un Paese come l’Italia, i dubbi sulle reali possibilità di interazione tra medici cinesi e operatori sanitari italiani nella complessa situazione negli ospedali del Nord Italia sono stati evidenziati da molti esperti. Altri Paesi hanno donato materiale sanitario, come solitamente avviene in questi casi senza attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Attenzione che è stata generata proprio dall’Ambasciata della Repubblica Popolare cinese.

La Cina non è l’unico Paese ad aver sconfitto o contenuto il coronavirus. Ci sarebbe molto da imparare dagli sforzi degli altri Paesi della regione nei confronti della pandemia, da Singapore a Taiwan fino alla Corea del Sud.

Proprio lunedì 16 marzo il ministro degli Esteri Di Maio ha effettuato una videoconferenza insieme ai suoi omologhi canadese, brasiliano, australiano e tedesco con il ministro della Salute e il ministro degli Esteri della Corea del Sud per apprendere le strategie messe in atto da Seoul.

Mentre il ministero degli Esteri taiwanese ha dichiarato di aver informato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) della possibilità di una pandemia in Cina prima della diffusione ufficiale della notizia. La strategia taiwanese di contenimento del COVID19, basata sull’individuazione dei possibili contagiati attraverso l’uso di big data incrociando i dati del database sia della sanità pubblica sia del ministero dei Trasporti non è stato sino ad ora studiato dalle autorità italiane.

Soprattutto le modalità di cooperazione cinese sono apparse troppo simili al sostegno che Pechino offre ai Paesi in via di sviluppo. Un approccio che non può essere efficace in una nazione come l’Italia, ottava potenza economica mondiale dove un sistema sanitario all’avanguardia sta lottando contro una emergenza inedita.

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