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Di Battista in lutto. Per i morti del Coronavirus in Italia o Iran? No, per Soleimani…

“Coloro che vogliono la pace in Medio Oriente sono davvero pochi”. Ma tra questi, certo, non c’era Qassem Soleimani, il capo delle unità d’élite dei Pasdaran che, di concerto con l’ayatollah Ali Khamenei, ha lavorato fino al suo ultimo giorno di vita alla costruzione di una mezzaluna sciita. “Soleimani non era un terrorista, era un soldato e ucciderlo è stato l’ennesimo regalo che gli Stati Uniti hanno fatto alla Rivoluzione islamica”, ha scritto Alessandro Di Battista nella terza puntata del suo diario dell’Iran pubblicata oggi sul Fatto Quotidiano. Si legge ancora: in un Iran diverso e diviso, “il trasporto e la commozione che provavano le persone davanti alla tomba di Soleimani sono reali e chiunque intenda occuparsi della Persia ne dovrebbe tener conto”, continua l’ex deputato del Movimento 5 stelle.

Che utilizza la parola Persia, non sappiamo se per evitare fastidiose ripetizioni con il termine Iran o se per aderenza a un progetto geopolitico. Ma tant’è. La Persia era l’obiettivo di Soleimani. Che Fiamma Nirenstein in un colloquio con Formiche.net dopo il raid statunitense che lo ucciso aveva definito “un imperialista persiano”. Basti pensare alla lettera che inviò nel 2008 al generale David Petraeus, allora capo delle forze statunitensi in Iraq e successivamente direttore della CIA. “Io sono il generale Soleimani che guida la politica iraniana in Iraq, in Libano, a Gaza e in Afghanistan. L’ambasciatore iraniano a Baghdad è un membro della Forza Quds e chi lo rimpiazzerà sarà altrettanto”. Era infatti lui l’uomo del regime incaricato dello sviluppo dello Stato islamico sciita a guida iraniana.

“MORTE ALL’AMERICA, MORTE A ISRAELE”

Dal reportage emergono i classici di quella propaganda anti Stati Uniti e anti Israele cantata durante i funerali di Soleimani a suon di “Morte all’America, morte a Israele”: Donald Trump ha voluto riaccendere il conflitto con l’Iran per alimentare la paura e fare così un regalo al suo alleato israeliano Benjamin Netanyahu in vista delle elezioni. Poi, oltre la politica, c’è la “denuncia” degli interessi delle “transnazionali del cemento” che “hanno bisogno delle macerie per fare business”. Inoltre, un’ammiccamento a Pechino: “L’obiettivo degli Usa è indebolire l’Europa e impedire l’implementazione del progetto della Nuova via della seta con la Cina. Colpire l’Iran spingendo la pubblica opinione persiana tra le braccia dei partiti anti-occidentali è uno degli obiettivi”. Dimentica forse, Di Battista, che sono le aziende coinvolte nella Belt and road ad aver già denunciato la loro delusione rispetto al progetto espansionista di Pechino. 

Ritorna anche nell’articolo di Di Battista, oltre alla strigliata all’Unione europea già presente nell’episodio precedente (accusata di fare gli interessi nordamericani e non quelli europei), la retorica assadista e putinista: “I media mainstream cercano di far credere che l’Iran sia un Paese di terroristi, ma in realtà ha affrontato davvero lo Stato islamico contribuendo alla sua sconfitta”. Come a dire: se combatti contro dei terroristi, automaticamente non sei un terrorista. Come se i mujahedddin che fermarono l’avanzata dell’Unione sovietica in Afghanistan non fossero impegnati nel jihad. O come se, al contrario, l’Unione sovietica fosse stata una democrazia perché cercò di sconfiggere i mujaheddin. Il ragionamento di Di Battista non regge, e non soltanto perché attaccare i media mainstream facendo al tempo stesso riferimento a dei regimi è una contraddizione in termini. Tuttavia, la logica del pasdaran pentastellato è in linea con un passaggio dell’articolo in cui dice: “Capi di Stato senza scrupoli, come Erdogan, utilizzano i profughi per ricattare la sempre più inconsistente Unione europea”. Scrivendo ciò Di Battista dimentica un particolare di non poco conto, anzi: l’esodo di massa è una campagna deliberata del regime siriano e della Russia, come ha spiegato Daniele Raineri sul Foglio.

QUEI CRIMINI OMESSI

Nel dipinto di Di Battista di un Iran che appare diverso ma compatto – quando invece le cronache già prima del coronavirus ce lo raccontano sempre più insofferente verso il regime e scollato dalla rivoluzione islamica – mancano alcuni elementi. Non soltanto il caso dell’abbattimento del volo ucraino. Non soltanto la denuncia dei silenzi dei media iraniani sull’epidemia e di Mahan Air, la compagnia dei Pasdaran con cui Soleimani stesso ha trasportato armi di distruzione di massa in Siria e che oggi ancora opera voli da e per la Cina. Mancano i crimini di Soleimani, a partire da quelli commessi in Siria e in Yemen per non dover andare indietro di troppi anni e senza considerare gli attacchi orditi e organizzati contro Stati Uniti e Israele (Paesi che nel racconto di Di Battista non sembrano essere degni di porsi a difesa del terrorismo iraniano).

Ma ci stupisce poco visto che già nel 2014 Di Battista, accusando gli Stati Uniti di aver “inserito stupidamente” l’Iran “nell’asse del male”, scriveva sul blog di Beppe Grillo: “Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana”. Il terrorismo, aggiungeva reputando lo Stato Islamico un interlocutore da coinvolgere nel dialogo per la pace in Iraq, resta “la sola arma violenta rimasta a chi si ribella”.

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