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Due donne, un solo mondo

Fanno capolino sui quotidiani due notizie che hanno molto in comune e che in qualche modo trattano, entrambe, di una forma di disabilità. Anzi, per meglio dire, parlano di due persone, due donne. Una con disabilità, l’altra senza. La prima notizia riguarda Éléonore Laloux, trentaquattrenne con sindrome di Down, candidata alle elezioni municipali che si terranno a marzo ad Arras, in Francia, 160 chilometri a Nord di Parigi. La seconda racconta, invece, di Asia Valente, 23 anni, modella e influencer di Benevento, una dei partecipanti al “Grande Fratello Vip” che, per rimbrottare un altro concorrente che l’aveva spaventata, lo ha apostrofato con un eloquente “sei un Down”. Il paragone è di per sé impietoso e la si potrebbe anche finir qui; qualche riflessione è, tuttavia, opportuna. Da una parte una ragazza con disabilità che, come racconta Stefano Montefiori sul Corriere della Sera, lavora, vive in modo autonomo ed è portavoce dell’associazione “Les amis d’Éléonore” fondata dai genitori per tutelare i diritti delle persone con sindrome di Down. Se eletta, porterà avanti un programma che non si limita a promuovere i diritti delle persone con disabilità, ma si estende a temi ambientalisti, con richieste di più piste ciclabili, più fondi per la pulizia della città e una maggiore attenzione agli spazi riservati ai cani. Dall’altra, una ragazza, assai giovane, apparentemente una very important person, che ha utilizzato un termine riguardante la disabilità (in questo caso intellettiva) come sinonimo di persona stupida: un atteggiamento offensivo e discriminatorio verso le persone con disabilità, come ha ben evidenziato l’attivista Iacopo Melio in una petizione lanciata su Change.org. Se questi sono i fatti, ha, tuttavia, poco senso prendersela con una ragazza di 23 anni alla quale, come a tutti i giovanissimi, è concesso dire qualche castroneria, anche così urticante. Non è l’unica, d’altronde: neanche due anni fa fu Marco Travaglio, nel polemizzare in una trasmissione televisiva, a inciampare nella denuncia che si volessero trattare gli elettori di una parte politica come “mongoloidi”. Il punto è, con tutta probabilità, rendersi conto che quelle parole sono le stesse che tanti, troppi utilizzano nella vita di tutti i giorni. È un segnale di come ancora alligni nella nostra cultura una sorta di atavica molla denigratoria per il diverso, la cui differenza ci allontana, ci spaventa, ci allontana. Ed ecco allora rispuntare puntualmente quel rosario di termini stigmatizzanti che sono finalizzati a marcare una differenza, a piantare nelle teste e nelle coscienze quei paletti del rassicurante confine fra “noi” e “loro”. Inutile e illusorio condannare una certa modalità di fare televisione: chi vuole, farà ricorso al telecomando. Non ci si può sottrarre, però, al dovere di contrapporre alle tante, piccole e grandi manifestazioni di degrado sociale il richiamo ai valori di eguaglianza, inclusione e parità di diritti per tutti. Non mancano, anche nel mondo dello spettacolo, le dimostrazioni che le cose possono cambiare: il recente sceneggiato Rai “Ognuno è perfetto” ha portato sul piccolo schermo, con delicatezza e senza facili paternalismi, una storia che ha visto come protagonisti persone con Trisomia 21, rompendo lo schema dell’invisibilità delle persone con disabilità nel mondo del cinema e della televisione. “Prima di tutto siamo esseri umani”, ha detto Éléonore, aggiungendo che vuole “più vita e più rispetto”. Nessuna assolutoria lapidazione social, allora: si utilizzi questa occasione per spiegare, ancora una volta, la bellezza della diversità. Perché le parole cambiano, e cambiano le persone. E se cambiano le persone, arriva il rispetto. Persino nella “casa”.


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