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Florida, Illinois e Arizona. Usa2020 prosegue oltre il virus

Il coronavirus getta nel caos le primarie democratiche: a poche ore dall’apertura dei seggi, e ignorando il verdetto di un giudice, il governatore dell’Ohio, Mike DeWineha rinviato le elezioni nello Stato in base all’emergenza sanitaria pubblica dichiarata dal Dipartimento statale alla Sanità. “Siamo di fronte a una crisi sanitaria pubblica senza precedenti: andare a votare esporrebbe addetti ai seggi ed elettori al rischio inaccettabile di contrarre il virus“, ha twittato il governatore DeWine, repubblicano.

La decisione segue una sentenza di segno opposto di un giudice dell’Ohio che lunedì pomeriggio aveva respinto un’istanza del governatore di rinviare le primarie per l’emergenza coronavirus: secondo il giudice Richard Frye  era troppo tardi per spostare le elezioni.

A questo punto, oggi si voterà, o si dovrebbe votare, solo in tre Stati: la Florida, con l’Ohio spesso cruciale nell’Election Day, l’Illinois e l’Arizona. Oltre all’Ohio, altri tre Stati, Louisiana, Georgia e da ultimo il Kentucky, hanno finora posposto le loro primarie.

Con tweet analoghi e paralleli, Joe Biden e Bernie Sanders hanno invitato i loro sostenitori ad andare a votare oggi, rispettando le regole di sicurezza ‘anti contagio’. Nella media dei sondaggi della vigilia, Biden era avanti in tutti e quattro gli Stati, dove l’emergenza coronavirus introduce, però, la variabile dell’affluenza; quanti cioè andranno a votare e quali elettori lo faranno – più i giovani dei vecchi sarebbe, ad esempio, un vantaggio per Sanders.

Il senatore del Vermont pareva avere qualche chances in Arizona, dove la popolazione ispanica, che lo appoggia, è numerosa. Ma Biden gli è ora avanti di venti punti, 51 e 31%, avendo ridotto il gap che accusava proprio fra gli ispanici. Sanders, tuttavia, resta per il momento determinato a portare avanti la campagna: con due soli contendenti – la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard è in lizza, ma fuori dai giochi — più che una corsa le primarie sono ora “un match di pugilato” – la definizione è di Time Magazine. E mettere ko Sanders è impresa difficile, come le primarie del 2016 insegnano: il senatore si batté fino all’ultimo contro Hillary Clinton, anche quando politica e aritmetica gli negavano ogni speranza, perché gli elettori potessero pronunciarsi sulla sua visione d’un’America “democratica e ‘socialista’”.

Il dibattito a porte chiuse e tv aperte di domenica fra Biden e Sanders ha fornito un dato certo: se l’emergenza coronavirus azzoppa l’economia Usa e toglie di mezzo, politicamente parlando, Donald Trump, gli Stati Uniti avranno, per la prima volta, un vice-presidente donna. Biden e — meno limpidamente — Sanders si sono impegnati a scegliere un running mate al femminile, se otterranno la nomination democratica.

Finora, è accaduto solo due volte che uno dei due maggiori partiti candidasse una donna nel ticket come vice-presidente: esperienze entrambe fallimentari. Nel 1988, il candidato democratico Michael Dukakis fece tandem con Geraldine Ferraro e venne sconfitto da George Bush padre, che era stato per otto anni il vice di Ronald Reagan. Coppia mal assortita, Dukakis – Ferraro: entrambi del New England, entrambi esponenti di minoranze ‘marginali’, la greca e l’italiana – ma Dukakis, probabilmente non avrebbe avuto chance quale che fosse stato il suo vice.

Nel 2008, il candidato repubblicano John McCain si scelse una ‘vice’ che doveva garantirgli l’elettorato di destra più reazionario, la cacciatrice di caribù Sarah Palin, ma fu poi costretto a metterla a tacere campagna durante, perché faceva danni. Alla Casa Bianca andò Barack Obama.

Usa2020

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