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#GrazieCina, o sarebbe meglio #PoveraItalia?

Stamattina ero a passeggio col mio cane. Che è un bravo cane, anche a passeggio. Ha solo un difetto: quando passeggia ha bisogno di farlo rasentando il muro. E quindi tira, a destra o a sinistra, pur di raggiungere il lato del marciapiede. Si sentirà più al sicuro, ho sempre pensato maledicendola per gli strattoni. Ma stamattina, senza che ce ne accorgessimo entrambi, eravamo a passeggiare in mezzo alla via. Sarà l’effetto coronavirus, mi sono detto: la pandemia ci sta regalando la sensazione di essere padroni della strada, di stare in mezzo, di guardare a destra e a sinistra. E di farlo con calma, senza la fretta di prima.

Poi ho ripensato al governatore veneto Luca Zaia, che prima ha detto «i cinesi, li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi» poi ha inviato una lettera di scuse all’ambasciatore cinese a Roma. Che non si sarà rimangiato tutto a iniziare proprio dai topi, ma è pur sempre una lettera di scuse. 

Mi è venuto in mente anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. E il resto del Movimento 5 stelle, il Partito democratico e tutto il governo Conte. Che tra le prime decisioni per fronteggiare il coronavirus hanno deciso in fretta e furia di chiudere tutti i voli per la Cina. Ma non hanno tenuto conto che uno per spostarsi da Pechino a Roma può tranquillamente fare scalo a Londra per esempio. Sarebbe servita una decisione sullo stile di quella assunta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump vietando l’ingresso a chiunque sia stato in Cina nelle ultime settimane. Ma il governo non ha preso in considerazione questa possibilità e di racconti di italiani rientrati nel loro Paese dalla Cina facendo scalo nel Nord Europa ne abbiamo sentiti e letti a bizzeffe. Poi, con un velocissima piroetta, lo stesso governo è corso ad applaudire – seppur in streaming e sui social – l’arrivo dei medici e dei materiali inviati dalla Cina con l’hashtag #grazieCina, parlando di “amicizia e solidarietà” ma senza aver ancora chiarito ufficialmente se si tratta di donazioni, come sostiene l’ambasciata cinese, o di contratti, come ha spiegato il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano.

Siamo passati dal chiudere la porta alla Cina convinti che fosse l’untore del mondo al vedere nella Cina l’unica speranza di salvezza, anche a causa della lentezza reazione dell’Occidente. L’unica che, guarita, ora può e vuole risolvere il problema, cioè l’Italia e l’Europa. Quello che il coronavirus ha regalato a me e al mio cane, la possibilità di stare al centro e da lì valutare, lo ha regalato anche all’Italia.

Ecco perché senza sputare sulle mascherine soltanto perché “made in China” dovremmo chiederci qual è il prezzo di questi aiuti. Ricordandoci che il coronavirus si è sviluppato e diffuso (almeno) a novembre proprio in Cina. Che per diverse settimane la Cina non ha informato la comunità internazionale lasciando che i suoi cittadini partissero in massa verso l’estero diventando veicoli del contagio. Che per gestire l’emergenza ha annullato ogni libertà civile e silenziato la stampa che indagava sul disastro. Che ha dichiarato la fine dell’emergenza ma senza fornirne le prove. Anzi, vedere il presidente Xi Jinping che cammina nell’epicentro Wuhan con la mascherina per strade vuote e con poche persone che si affacciano dalle finestre dovrebbe alimentare qualche dubbio.

Nelle difficoltà la tendenza è a stare da una parte, in questo caso con la Cina che ci “aiuti” e contro Trump e l’Europa che arrancano. Ma dovremmo approfittare dei ritmi meno serrati per analizzare la faccenda guardando dal centro e pensando al lungo periodo senza dimenticare che cos’è stato ieri e che cosa potrà accadere domani. 

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