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Imparare subito, imparare tutti. Cosa ci insegna la crisi del coronavirus. Il punto di Ottiglio

Di Mario Ottiglio

Ora che il mondo intero è ormai alle prese con la pandemia di Covid-19, è sotto gli occhi tutti che investire nella preparazione delle epidemie sarà in futuro un punto nodale sui cui concentrarsi. Nonostante non si sia mai sicuri fino in fondo di come prepararsi, ciò che è certo è che non possiamo dire di non essere stati avvertiti. Se osserviamo i primi due decenni di questo secolo, una serie di epidemie e pandemie – Sars, influenze suine ed aviaria, Mers, Coronavirus, Zika ed Ebola – hanno causato danni a persone, comunità ed economie di tutto il mondo.

Nonostante il proliferare fisiologico di appelli e discussioni di vario tipo sulla necessità di prepararsi meglio “in futuro”, oggi ci confrontiamo ancora una volta con una situazione di grossa instabilità, riscoprendoci estremamente fragili come comunità globale e impreparati di fronte a un nuovo virus. Negli ultimi due mesi, da quando le informazioni sul virus SarsCoV2 e covid-19 si sono diffuse in tutto il mondo a una velocità senza precedenti, abbiamo assistito allo svuotamento progressivo dei luoghi di ritrovo pubblici, al rallentamento di attività di centri commerciali e negozi, a un enorme declino della mobilità, per finire ad alcuni comportamenti irresponsabili come l’accaparramento selvaggio di qualsiasi prodotto e l’aumento scellerato dei prezzi di alcuni beni.

Tralasciando i governi – che ora devono fare tutto il necessario per mantenerci in salute – bisogna che altri attori comprendano a fondo l’impatto sociale, politico ed economico delle epidemie, impegnandosi in prima linea nella preparazione di future epidemie. Covid-19, dal cui picco globale siamo purtroppo ancora lontani, ci ha già posto dei temi chiave di cui tener conto in un futuro non troppo lontano.

La più importante ed evidente lezione che abbiamo imparato è questa: l’educazione alla salute dei cittadini – traduzione più vicina all’espressione inglese health literacy – è un elemento essenziale per il raggiungimento di risultati soddisfacente in ambito sanitario. A molti questa può sembrare un’equazione molto semplice ed ovvia. L’epidemia di Covid-19 però ha dimostrato che le persone semplicemente non sanno e, non sapendo, non capiscono.

Molti hanno paragonato la cronica carenza di educazione alla salute – delle conoscenze basiche in materia sanitaria – a una pandemia silenziosa. Per ovviare a quest’altra crisi, avremmo bisogno di partenariati ampi che coinvolgano tutti: dai governi alle comunità mediche e scientifiche; dal settore privato ai media. Proprio questi ultimi hanno un’enorme responsabilità nell’influenzare e formare l’opinione pubblica e sono certamente in parte responsabili del panico verificatosi con Covid-19.

Dall’inizio della pandemia a Wuhan, i media hanno usato un linguaggio che ha instillato paure e ansia tra il grande pubblico. La voglia compulsiva di dare la notizia ha posto Covid-19 tra le headlines nei cicli di notizie dell’ultimo mese: sulle principali testate cartacee e online non si poteva leggere altro che del virus: notizie che in altre occasioni avrebbero occupato ampi spazi in prima pagina, cosi come Brexit, la drammatica situazione in Siria o i tragici racconti sui migranti che premono sui confini bulgaro e greco, sono state costantemente relegate in “altre notizie”.

Questa onnipresenza di Covid-19 ha aiutato da un lato alcuni a capire la situazione, ma dall’altro ha gettato le basi per comportamenti irresponsabili. Abbiamo visto crescere i pregiudizi nei confronti di prima cinesi o di italiani poi. Abbiamo anche assistito a un’infinità di fake news – una vera propria peste dei nostri tempi. E, in ultimo ma non meno importante, la proliferazione di truffe e il commercio online illegale di disinfettanti per le mani e mascherine. In altre parole, tutto terreno fertile per la diffusione dell'(altra) epidemia silenziosa della cattiva educazione alla salute.

Covid-19 ci ha insegnato che dobbiamo investire risorse importanti per l’educazione. L’istruzione è uno dei più importanti determinanti sociali della salute. Molti studi in passato hanno mostrato forti legami tra scarsa alfabetizzazione sanitaria e malattia. Un’adeguata educazione alla salute consentirebbe (e lo farà – perché non è finita di certo qui con SarsCoV2) di far capire alla gente perché è necessaria la quarantena, perché le partite di calcio non possono aver luogo, perché è meglio non correre alle farmacie per comprare maschere e perché non si dovrebbe correre negli ospedali ai primi sintomi sospetti.

Il settore privato, dalle multinazionali alle piccole imprese, non può più ignorare l’importanza della salute, compresa la preparazione delle epidemie. Chi è in grado di contribuire in maniera netta a una migliore educazione sanitaria sono senza dubbio le aziende. Il settore privato si trova nella posizione privilegiata di poter influenzare un’alta percentuale di consumatori attraverso i loro marchi e favorirne l’educazione alla salute e, in definitiva, responsabilizzarli. Almeno per quest’ultimo punto l’impegno del settore privato potrebbe essere fondamentale.

Mentre l’economia globale continua a subire duri colpi (crollo sostanziale delle borse, spread che vola, compagnie aeree in difficoltà) è chiaro che le grosse aziende private hanno fatto poco per dare priorità alla preparazione alla pandemia, cosa dovuta, almeno parzialmente, alla mancanza di leadership strategica.

Nel 2015, un rapporto del Wef che esaminava la comprensione da parte dei dirigenti della necessità di prepararsi alle epidemie ha rilevato che solo il 37% dei dirigenti intervistati dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo ha identificato i focolai di malattie infettive come un fattore che potrebbe ridurre investimenti a livello globale.

L’attuale pandemia di covid-19 dimostra ancora una volta quali siano le diverse dimensioni necessarie di cui tenere conto per gestire un’epidemia, dalla necessità di pronto intervento su emergenze mediche e non mediche, alla continuità aziendale, fino a protocolli testati di comunicazione di crisi. In questi giorni stiamo leggendo molto di sicurezza sul posto di lavoro, lavoro a distanza: sebbene il miglioramento dell’ambiente di lavoro rimanga un aspetto essenziale di qualsiasi risposta alla malattia, un quadro di preparazione più completo dovrebbe diventare in futuro una conditio sine qua non per qualsiasi azienda.

Guardando ai grossi gruppi industriali, un Ceo dovrebbe essere subito in grado di sapere come e cosa dire a dipendenti, partner, investitori, fornitori, clienti e altre parti interessate. Una rapida analisi condotta da High Lantern Group mostra come globalmente le grandi aziende che muovono l’economia globale si siano associate alla discussione su covid-19 in modo sostanzialmente reattivo mostrando, appunto, scarsa preparazione.

Al di là della preparazione, per grossi attori economici, è tempo di mettere la salute al centro delle operazioni e della contribuzione agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Come rilevato da un recente rapporto di Harvard, solo il 4% delle aziende Fortune 500 si è posta un qualsiasi tipo di obiettivo aziendale o di sostenibilità relativo alla salute, rispetto al 55% che si era impegnato a raggiungere un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2. La cosa più sorprendente è che al di là dei soliti noti (aziende farmaceutiche o affini), quasi nessuna altra organizzazione si è sentita in dovere di elaborare una strategia sanitaria (6%) o una relazione sull’impatto sulla salute (1%).

La salute è cosa inesorabilmente legata al benessere e allo sviluppo umano, che sono due fattori che consentono alle imprese di prosperare. È giunto il momento per il settore privato di integrare gli obiettivi sanitari nel loro pensiero strategico e nella loro pianificazione operativa, reputazionale e commerciale.

I sistemi sanitari devono essere strutturalmente riformati per far fronte alle crisi sanitarie globali. Un altro tema emergente è il dibattito sulla portata dei sistemi sanitari. È ormai evidente che molti sistemi sanitari non sono preparati a far fronte alla portata di questa crisi, sia per tagli continui alla sanità che per un normale riorientamento della capacità di risposta a favore di infrastrutture più pronte per gestire degenze croniche e di lungo periodo.

In Italia, ad esempio, il sistema sanitario che pur gode di un’ottima reputazione a livello internazionale, è a serio rischio di collasso se l’epidemia non dovesse rallentare nei prossimi giorni. Molti osservatori sono preoccupati della capacità del sistema sanitario statunitense di gestire l’afflusso dei casi Covid-19 previsti nelle prossime settimane e mesi.

A ciò si aggiunge, negli Usa, la preoccupazione per le spese sanitarie. Qualche giorno fa, a un uomo della Pennsylvania che è stato evacuato dalla Cina insieme a sua figlia, è stato chiesto di pagare circa $4000 in spese mediche dopo essere stato dimesso da una quarantena obbligatoria. Un recente articolo della rivista Time riportava che la scelta di sottoporsi a un tampone è una prospettiva potenzialmente costosa per milioni di americani. Oltre 27 milioni di americani attualmente non hanno assicurazioni sanitarie di alcun tipo e per coloro che hanno un’adeguata assicurazione sanitaria, la franchigia media per una singola persona è aumentata del 162% negli ultimi dieci anni. Non ci vuole molto a immaginare come covid-19 influenzerà il dibattito sulle presidenziali americane di quest’anno o quello internazionale in seno all’Oms sulla necessità imperativa di orientare i sistemi verso una copertura sanitaria universale.

Infine, è chiaro che è tempo che il mondo inizi a passare dalle parole ai fatti. Se è vero che viviamo ormai in un villaggio globale, dobbiamo pensare globalmente su questi problemi. Ciò che è mancato nelle prime ore di covid-19 sono stati sia il coordinamento che una solidarietà globale. A prova di ciò c’è stata una mancanza di una risposta veramente unitaria da parte dell’Unione Europea, una volta che Covid-19 si è presentata nel cuore economico di una delle sue nazioni fondatrici. Con epidemie e pandemie, la domanda non è mai se queste torneranno, ma quando lo faranno.

Viviamo in un pianeta in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità valuta circa 7000 potenziali segnali di un’epidemia ogni mese; noi ci spostiamo come mai prima d’ora e dobbiamo continuare a farlo; i tre mega-trend di longevità, urbanizzazione e l’esplosione informatica e delle informazioni ci stanno facendo vivere più a lungo, diventare più connessi che mai e stare più vicini gli uni agli altri; il cambiamento climatico ci sta esponendo al riemergere di malattie che pensavamo sconfitte o contenute. Preservare il nostro stile di vita impone una conversazione globale sulla definizione di una visione coerente e collaborativa per migliorare la preparazione alla salute globale.

Covid-19 sarà gestita. E questa esperienza ci costringerà a rispondere a domande importanti su alcuni dei temi importanti esaminati sopra. Sul New Statesman, Jeremy Cliffe ci ricorda che il mondo si sta lentamente adattando per avere un dibattito genuinamente globalizzato sui cambiamenti climatici e sui cambiamenti politici necessari. Saremo ben serviti per impegnarci in un dibattito simile sulla prevenzione e mitigazione delle pandemie e sulla centralità della salute nelle nostre vite.

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