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Così l’India combatte il coronavirus. Numeri (ufficiali e non) e misure

Per evitare la diffusione del coronavirus, a inizio marzo dall’India sono arrivati appelli per rilanciare l’uso del tradizionale “namastè”, il saluto indiano con mani e palmi unite all’insù, come nuova stretta di mano per evitare nuovi contagi. Il numero di pazienti positivi cominciava ad aumentare, specialmente nella grande New Delhi.

La star di Bollywood, Anupam Kher, aveva postato un video su Twitter in cui raccomandava il namastè perché “igienico, amichevole e focalizza le tue energie: Provalo”. Anche il giornalista Gaurav Sawant del canale tv India Today TV proponeva il saluto alternativo.

Ma ora il “namastè” sembra non bastare. Ora l’India ha deciso di fermarci per combattere la propria battaglia contro il coronavirus. Il premier indiano, Narendra Modi, ha annunciato che anche gli indiani saranno sottoposti a misure di isolamento per 21 giorni a partire dalla mezzanotte del 25 marzo. L’obiettivo è contrastare la diffusione del coronavirus, proprio ora che il Paese non è in uno stato di emergenza.

Con i suoi 1,3 miliardi di cittadini, l’India si aggiunge ad una decina di Paesi che hanno decretato il lockdown come misura preventiva della pandemia. Inizialmente il governo aveva vietato i visti ai cittadini dei Paesi più colpiti dal virus e la cancellazione di voli. A metà marzo i casi erano soltanto 300, in Afghanistan, Pakistan, India, Nepal, Bhutan, Bangladese, Sri Lanka e Maldives

Fino ad oggi la gestione del coronavirus in India è stata molto criticata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato come “spettacolare” la risposta del governo indiano, dove si erano registrati solo 425 casi e sette vittime. La chiusura delle frontiere e il controllo dei viaggiatori sembrava funzionare. Tuttavia, secondo molti esperti, la cifra reale di pazienti positivi al coronavirus è molto superiore. L’India è tra i Paesi che ha fatto meno test. Secondo il Consiglio di Inchiesta Medica dell’India, al 22 marzo alle 10 del mattino, erano stati fatti soltanto 19.974 tamponi.

Il problema però è la capacità dei laboratori indiani per lavorare i test. Secondo l’Associated Press, possono gestire 800 tamponi al giorno, ma comunque sono stati fatti circa 90. Ramanan Laxminarayan, direttore del Centro per Dinamiche di Malattie, Economia e Politiche a Washington, ha spiegato alla Bbc che con questi numeri non si conosce la dimensione reale dell’epidemia in India. Per lui il Paese sarà il prossimo epicentro mondiale della pandemia, giacché ci sono 10mila casi sommersi.

Intanto, il governo di Modi si prepara per l’emergenza. Ha chiesto a ospedali pubblici e privati di aumentare il personale e il materiale sanitario. In India ci sono 100 milioni di persone vulnerabili al coronavirus perché hanno più di 60 anni. Il sistema sanitario ha il 1,28% del Pil e prevede unicamente 8 medici per ogni 10mila abitanti.

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