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La pandemia cambia anche l’intelligence. Il prof. Teti spiega come

Di Antonio Teti

L’inaudita violenza del virus Covid-19 ha chiarito in modo brutale ed inequivocabile l’impotenza e l’inadeguatezza di tutte le superpotenze del pianeta nella gestione del problema, confinando l’essere umano in uno stato di incredulità esistenziale, nel terrore di essere confinato in un limbo che lo vede costantemente in bilico tra la vita e la morte. Il tributo di sangue in termini di vite umane che quotidianamente il coronavirus ci impone, non lascia alcun dubbio sulla portata del dramma che l’intero pianeta sta vivendo. Ma ciò che forse non è ancora chiaro alla popolazione, o probabilmente è preferibile che non lo sia in questo particolare momento, è la portata delle conseguenze ad ampio spettro che tale tragedia potrebbe produrre.

Ciò che è certo è che alla lista dei decessi di esseri umani che quotidianamente ci viene fornita dai media su base mondiale, ben presto si affiancherà quella dei “martiri del lavoro”, ovvero di coloro che perderanno la propria occupazione in funzione della crisi economica che sta già cominciando a serpeggiare. Questa drammatica elencazione inizierà ben presto se a livello nazionale e soprattutto europeo non si assumeranno provvedimenti finalizzati alla tutela dei posti di lavoro e della salvaguardia delle aziende. Forse anche per questo motivo che il coronavirus è stato anche definito da alcuni come “democratico”, termine apparentemente ironico ma che tende ad evidenziare l’inesistenza di criteri di selezione nella scelta delle “vittime”, che in questo caso possono essere rappresentati da individui ma anche da aziende, attività professionali, e finanche strutture governative.

Tra queste ultime troviamo anche il comparto intelligence che probabilmente dovrà “rimodellarsi” in funzione dello svolgimento di talune attività e metodologie di lavoro condotte. Il coronavirus pone un problema senza precedenti agli intelligence officers di tutto il mondo, il cui lavoro come sappiamo si basa molto su contatti personali e diretti con le fonti e su una interazione “de visu” finalizzata alle conduzione di operazioni di reclutamento. Non è quindi un caso se la pandemia sta rallentando in maniera consistente il numero e le tipologie di attività di spionaggio delle strutture governative di intelligence, come nel caso degli Stati Uniti, le cui agenzie, secondo alcune fonti interne, stanno impiegando i case officers per reclutare fonti straniere al fine di acquisire informazioni sulle origini e sul contrasto alla diffusione del Covid-19. Un altro problema di particolare rilevanza per le agenzie di intelligence è rappresentato dalle politiche di isolamento in atto in tutti i paesi. Ad esempio, data la numerosità degli agenti americani di stanza in tutto il mondo incaricati di svolgere operazioni che necessitano di contatti personali diretti o di spostamenti geografici, la conduzione di tali attività può risultare particolarmente difficoltosa se non addirittura impossibile da gestire in città semivuote o sotto strettissimo controllo da parte delle forze dell’ordine. Senza considerare che il lavoro di raccolta e diffusione di informazioni condotto sul campo esporrebbe enormemente gli agenti al rischio di contagio da virus. Ma se la soluzione dello smart working può rivelarsi particolarmente risolutiva per alcune tipologie di aziende e per la Pubblica Amministrazione, ritenere che il “lavoro da casa” possa essere svolto allo stesso dagli intelligence officers, è pura utopia. Anche se il Cyberspace rappresenta uno dei due mondi esplorati dall’intelligence (l’altro è quello reale), le spie non possono gestire informazioni classificate lavorando dalla propria abitazione e collegandosi ad un qualsiasi Internet Provider.

Se è vero che molte conversazioni possono essere gestite dai telefoni cellulari crittografati in dotazione agli operativi, non tutte le informazioni possono transitare attraverso tali dispositivi. Ad esempio, la rete segreta utilizzata dal Dipartimento di Stato e della Difesa statunitense utilizzata per scambiare informazioni, chiamata SIPRNet (Secret Internet Protocol Router Network), non è fruibile da una rete pubblica. Inoltre, è in grado di gestire solo informazioni classificate come “Not Confidential”, “Secret” e “Top Secret”, che attualmente rappresentano la totalità del contenitore informativo dell’intelligence, senza considerare che l’installazione di un singolo computer “dedicato” e connesso a questa rete può arrivare a 25.000 dollari. Il JWICS (Joint Worldwide Intelligence Communications System), è invece una rete gestita dalla statunitense Defense Intelligence Agency, e viene utilizzata principalmente per la trasmissione di informazioni Top Secret/SCI (Sensitive Compartmented Information), ma è in uso anche al Department of Defense, al Department of State, al Department of Homeland Security e al Department of Justice per trasmettere altre tipologie di informazioni classificate. In buona sostanza rappresenta la intranet top secret del Dipartimento della Difesa, l’equivalente della SIPRNet, ma al contrario di quest’ultima per l’installazione di un computer connesso alla sua rete si spenderebbero circa 70.000 dollari. In funzione dei costi eccessivi e della “mutabilità” degli incarichi dei politici, dei diplomatici e degli agenti delle agenzie di intelligence, appare chiaro come l’installazione di ulteriori postazioni JWICS o SIPRNet presso abitazioni o luoghi diversi non abbia molto senso, soprattutto se consideriamo che i principali utenti di queste reti (operativi) sono spesso in giro per mondo. Altro aspetto che risulta essere condizionato dalla pandemia è quello delle riunioni operative. Gli incontri finalizzati alla trattazione di documenti e argomenti classificati (TS/SCI) possono essere effettuati solo all’interno di special rooms1 (altresì note con l’acronimo di Sensitive Compartmented Information Facilities, SCIF) disseminate in oltre due dozzine di agenzie governative, uffici di società di copertura, basi militari e ambasciate statunitensi. L’intera comunità di intelligence americana sta cercando affannosamente di comprendere come affrontare queste problematiche in un contesto di pandemia globale mai finora contemplato. L’Office of the Director of National Intelligence (ODNI), l’autorità centrale di coordinamento della comunità di intelligence statunitense, ha recentemente affermato di aver ridotto il contatto fisico tra il suo personale, mediante una serie di metodologie come i turni sfalsati, i programmi di lavoro flessibili e le pratiche di allontanamento sociale. Secondo un articolo del Time, metodi simili sarebbero stati adottati dalla CIA ma anche da altre agenzie di intelligence di paesi diversi. Molti servizi segreti stanno utilizzando il metodo della turnazione per ridurre il numero delle persone che transitano negli uffici in determinati momenti, oppure applicando la tecnica della separazione del personale tra “essential” e “non-essential”.

Oltre alle problematicità esposte, vale la pena di sottolineare che la pandemia sta influenzando anche la scelta degli obiettivi e delle aree di interesse delle agenzie di intelligence di tutto il mondo, con un particolare riferimento a quelle statunitensi. Un esempio per tutti è dato dall’Iran. L’attenzione degli Stati Uniti, in particolare della CIA, in queste ultime settimane sembra sia indirizzata sugli sviluppi della collaborazione russa e cinese con il governo di Teheran sul piano degli aiuti per il contrasto alla pandemia. Nel corso delle ultime settimane, una missione di supporto tecnico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), affiancata da esperti dell’Istituto tedesco Robert Koch Institute e del Chinese Center for Disease Control, ha visitato ospedali, centri sanitari e uffici di sensibilizzazione della zona di Teheran e Qom. Quando il team è arrivato, l’Iran aveva solo 22 laboratori di prova, come sostenuto da Rick Brennan, Regional Emergency Director dell’OMS e responsabile della missione. Il 10 di marzo, al momento della partenza del gruppo, erano circa 40 i laboratori.

Secondo l’OMS, l’Iran, nel giro di pochi giorni, è riuscita a migliorare il coordinamento tra le agenzie governative e gli organi municipali, iniziando a convertire contestualmente la capacità produttiva, grazie anche al supporto delle strutture militari, nella produzione di dispositivi di protezione individuale fabbricati localmente, ma soprattutto grazie al supporto del governo di Pechino, la cui collaborazione con Teheran è cresciuta in maniera esponenziale nel corso degli ultimi anni. L’incremento dell’interazione tra i due paesi è riconducibile al periodo del ritiro dell’amministrazione Trump (maggio 2018), dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPA), il piano d’azione congiunto globale sulla limitazione dello sviluppo del nucleare in Iran. La campagna di “massima pressione” voluta da Trump contro il governo di Teheran, ha rafforzato la collaborazione dell’Iran con la Cina e la Russia, aspetto che influito inizialmente sul “gelo” tra Washington e Pechino, ma che non ha neanche rafforzato l’apparente cordialità con Mosca. Senza alcun dubbio la Cina ha cercato molto abilmente di sfruttare la spaccatura tra Washington e Teheran senza tuttavia alimentare ulteriormente le tensioni cino-americane. Anche sul piano delle psychological operations, Pechino continua a mostrare una singolare attività nell’ambito della deception. Ne è un esempio il commento del portavoce del governo cinese Lijian Zhao che il 13 marzo ha postato un tweet in cui asseriva che “potrebbe essere stato l’esercito americano a portare l’epidemia a Wuhan. Sii trasparente! Rendi pubblici i tuoi dati! Gli Stati Uniti devono una spiegazione! “2. La reazione del Segretario di Stato americano Mike Pompeo, del 21 marzo scorso, è stata immediata e si è concretizzata con l’accusa rivolta a Russia, Cina e Iran di aver contribuito ad alimentare la “disinformazione” sulla diffusione del COVID-19 e di aver compiuto sforzi coordinati per “denigrare” i tentativi americani di contenere la rapida pandemia di coronavirus3.

Queste schermaglie si consumano mentre l’Iran conferma oltre 21.600 casi di contagio e 1.685 decessi causati dal virus. Certamente la capacità di Teheran di sostenere in maniera sostenuta la pandemia è ostacolata anche da una carenza di attrezzature mediche attribuibile, per buona parte, al regime di sanzioni cui è sottoposta. In una lettera ai leader mondiali del 13 marzo, il presidente iraniano Rouhani ha esortato la comunità internazionale ad adottare strategie nell’ambito delle Nazioni Unite per contrastare il regime sanzionatorio. “È ora che la comunità internazionale si opponga al bullismo illegale e disumano degli Stati Uniti “, ha scritto. Per la prima volta in sei decenni, l’Iran ha anche richiesto fondi di emergenza al Fondo Monetario Internazionale per aiutarlo a combattere la crisi, un appello che gli Stati Uniti, che fanno parte del consiglio decisionale del FMI, potrebbero potenzialmente porre il veto.

L’influenza politica, abilmente e intelligentemente condotta da Pechino e da Mosca a livello europeo e mediorientale, e che si traduce spesso in aiuti assistenziali ed economici ad alcuni paesi maggiormente colpiti dal coronavirus, preoccupa non poco Washington. Il supporto concreto che i russi e i cinesi stanno concedendo, con modalità diverse, a paesi che orbitano nell’area degli interessi americani, come l’Italia, potrebbero produrre conseguenze non irrilevanti, in un prossimo futuro, sulle politiche economiche e sociali dei paesi coinvolti. È proprio su questo aspetto che l’intelligence statunitense sta concentrando la sua attenzione.

Nel corso degli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno investito molto in satelliti spia e altre tecnologie di monitoraggio e sorveglianza, ponendo una minore attenzione a quel diluvio quotidiano di informazioni disponibili dalle fonti aperte disponibili in oltre 150 lingue parlate, per cercare soprattutto di condurre il lavoro di filtraggio tra verità e finzione. La tecnologia, nonostante la sua promessa, “non riesce a rivelare ciò che è nei cuori e nelle menti degli avversari e dei rivali strategici”. Questo è quanto ha asserito Douglas London, ex funzionario della CIA, che ha confermato che “Solo la human intelligence può consentirci di comprendere come sono state acquisite le informazioni e quali possono essere le motivazione che spingono un agente a condividerle.”4 La HUMINT, com’è noto, è un’attività che richiede il possesso delle metodologie e delle tecniche riconducibili alla individuazione, valutazione, reclutamento e gestione delle fonti e dei foreign agents, un lavoro che si basa su contatti diretti e personali consumati sul campo, attività che il coronavirus sta rendendo sempre più complesse.


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