Non si può evitare un cigno nero come il coronavirus, ma si può mitigarne l’effetto, prevedendone in anticipo la diffusione e agendo di conseguenza con idonee misure di prevenzione. Si potrà fare a breve con una piattaforma italiana di intelligenza artificiale, appositamente istruita dagli esperti di minacce biologiche su dove cercare (a partire dai social network) e su cosa analizzare. È il frutto della partnership tra la società modenese Expert System e Osdife, l’osservatorio sulla sicurezza e difesa Cbrne, acronimo che raccoglie le sfide chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari ed esplosive. Ne abbiamo parlato con Andrea Melegari, senior executive vice presidente Defence, intelligence & security di Expert System, e il professor Roberto Mugavero, presidente dell’Osdife.
GLI OBIETTIVI
L’intesa punta a “produrre e diffondere conoscenza” in ambito Cbrne, sfruttando la potenza degli algoritmi di intelligenza artificiale per individuare tutte quelle informazioni che sfuggono all’occhio umano (i cosiddetti “segnali deboli”) o che sono considerate inesistenti (i cosiddetti “falsi negativi”). In altre parole, si tratta di riuscire a gestire e analizzare enormi quantità di dati, fondamentali per governare fenomeni imprevisti e per anticiparli con idonee misure di prevenzione. È proprio il caso di minacce come il coronavirus, su cui serve poter disporre con rapidità di informazioni, ad esempio su sintomi di contagio o esposizione in determinate zone.
IL PROGETTO
“La partnership è partita nel 2019 come attività di ricerca piuttosto spinta che i governi di Canada e Australia, avendo chiaro il rischio da minacce Cbrn, hanno deciso di finanziare”, ci ha spiegato Melegari. I due Paesi, ha aggiunto l’esperto, “hanno trovato nel nostro progetto una specifica proposta che tende a creare una soluzione per anticipare l’allarme ufficiale”. Come dimostra il coronavirus, “non possiamo aspettare che un’organizzazione come l’Oms dichiari problemi di questo tipo perché, come purtroppo è evidente in queste settimane, è già troppo tardi”. Nel progetto, Expert System ha messo “una tecnologia da trent’anni in uso a molti governi che fa analisi semantica di testi”.
ANTICIPARE L’ALLARME
L’Osdife, ha rimarcato il professor Mugavero dell’Università di Roma Tor Vergata, “è stato impegnato nella definizione dei requisiti di utente, definiti a partire dalle necessità del mondo Cbrne rispetto all’utilizzo della piattaforma”. Lo ha fatto con interviste e incontri, nazionali e internazionali, con esperti del settore militare, civile, dell’intelligence e della comunità scientifica. Il risultato è una piattaforma che “sarà operativa tra un paio di mesi”, in grado di anticipare di molto l’early warning su minacce biologiche. Come funziona? Grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, ben addestrati sulle parole-chiave da ricercare tra le fonti aperte, dai social network ai siti web, passando per i quotidiani locali e altre sorgenti disponibili online.
LA RICERCA SOCIAL
In altre parole, ha spiegato Melegari, “mettiamo dei sensori sui canali in cui la gente comunica e intercettiamo i segnali deboli”, quelli che l’uomo non è in grado di identificare. “Se venti persone in una stessa località hanno i medesimi sintomi e lo scrivono su Facebook o Twitter, noi lo intercettiamo”. La sfida, nota l’esperto, “è semantica, perché le persone si esprimono con linguaggio naturale; non parlano di cefalea, ma dicono di avere mal di testa; c’è chi dice sto tossendo, e chi ho la tosse”. Per questo, rimarca Mugavero, “abbiamo sviluppato specifiche aree di ricerca delle sorgenti, social network, link web e documenti reperibili, su parole-chiave riferite al dato da analizzare a validare, senza rompere alcun tipo di privacy”.
IL CASO CORONAVIRUS
Così, sapendo dove e cosa cercare, tramite l’analisi di “low level detectors” e falsi negativi, la piattaforma fa scattare un campanello d’allarme se riscontra, ad esempio, che alcune persone accusano gli stessi sintomi (pur descrivendoli in modo diverso), nella stessa zona e nello stesso momento, magari notando l’anomalia rispetto al normale picco d’influenza nella medesima area. E se un sistema del genere fosse stato utilizzato per il coronavirus? “Non avrebbe potuto impedire la nascita dei focolai – ha spiegato Mugavero – ma avrebbe potuto fare in modo rapido la detection degli indicatori che avrebbe permesso di riconoscere l’insorgenza di un focolaio in un certo luogo”.
UNA MINACCIA SUBDOLA
Non è facile, anche perché tra l’acronimo Cbrne, la lettera B (biologico) “è la più difficile da identificare e detettare”, ha spiegato il professore. “Il rischio batteriologico – gli ha fatto eco Melegari – rimane in stagnazione, ma si diffonde a macchia d’olio”. D’altra parte, ha aggiunto il presidente di Osdife, “virus e batteri non si vedono, né se ne può sentire l’odore”. In più, “a differenza del rischio chimico o radiologico, hanno effetti visibili solo con i primi sintomi, che tuttavia possono apparire anche dopo diversi giorni in cui il soggetto è stato contagioso”. D’altra parte, “è comprovato che la minaccia che non viene vista è sottovalutata; non percepiamo il rischio se non lo vediamo, non lo tocchiamo e non stimoliamo adrenalina”.
UN MESSAGGIO PER L’ITALIA
E ora? “Ora – ha detto Mugavero – dobbiamo mettere a fattor comune tutte le capacità che abbiamo, mediche, tecniche e scientifiche, così da controllare nel minor tempo possibile la diffusione dell’evento in corso”. Poi, “dobbiamo assicurarci che la prossima volta, sperando che sia sempre più lontana, saremo ancora più preparati per affrontare la minaccia”. Difatti, ha aggiunto concludendo Melegari, “non possiamo più permetterci qualcosa come il coronavirus; chi ci dice che tra sei mesi non si presenterà un Covid-20?”.