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Nato vs. coronavirus? Perché la proposta di Kempe (Atlantic Council) ha senso

Combattere il coronavirus invocando l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica, quello su cui poggia la difesa collettiva dei 29 Paesi che aderiscono alla Nato. Se non venisse da Frederick Kempe, presidente dell’autorevole think tank americano Atlantic Council, la proposta verrebbe rapidamente accantonata. Invece, l’invito dell’esperto giornalista americano è destinato a far discutere per almeno due ragioni. Primo, perché in ogni moderna strategia di difesa (nazionale e non) si citano ampiamente le minacce Cbrn, complesso acronimo che racchiude le sfide chimiche, biologiche (tra cui virus), radiologiche e nucleari. Secondo, perché sulla pandemia da coronavirus è già scattata una competizione tra narrazioni che puntano a ridisegnare il mondo, con la Cina particolarmente attiva. Ecco che dunque è lecito pensare all’articolo 5, il cuore dell’Alleanza Atlantica: un attacco contro un membro rappresenta un attacco contro tutti, e dunque tutti vi rispondono collettivamente.

L’ARTICOLO CINQUE DELLA NATO…

Come ricorda Kempe nell’editoriale affidato a Cnbc.com, la clausola di difesa collettiva fu pensata nel 1949 per l’Unione sovietica, nemico tradizionale e minaccia piuttosto classica alla sicurezza europea, prevalentemente con la pressione ai confini. Eppure, l’unico momento in cui gli alleati vi hanno fatto ricorso è stato a dieci anni dalla fine della Guerra fredda, contro un nemico tutt’altro che tradizionale: il terrorismo internazionale dopo l’attacco dell’11 settembre. È quello il riferimento di Kempe: “Se l’Alleanza può ricorrere all’articolo 5 per combattere un attore terrorista non-statuale che ha colpito gli Stati Uniti, perché non anche per combattere il Covid-19 originato dalla Cina, che allo scorso venerdì ha infettato oltre 28mila persone e ne ha uccise 1.200 tra gli alleati della Nato”.

…CONTRO LA PROPAGANDA CINESE

L’invito è molto più di una suggestione. Certamente, non mira a imbracciare i fucili contro il Covid-19, quanto a rilanciare l’unità e il coordinamento transatlantici per affrontare al meglio l’emergenza (e il post-emergenza). La Nato è d’altra parte l’istituzione in cui le due sponde dell’Atlantico sono rimaste più vicine negli ultimi decenni, sempre in contatto politico e operativo, consolidando visioni strategiche e superando divergenze. Può dunque insegnare tanto nell’affrontare un’emergenza che sembra frazionare l’azione transatlantica. È per questo che Kempe propone di invocare l’articolo 5, un gesto che punta a ricompattare l’Occidente anche alla luce degli ormai evidenti tentativi della Cina (che per gli Usa è il primo competitor globale) di sfruttare la pandemia per rilanciare la propria proiezione. Tentativo che è particolarmente evidente proprio nel nostro Paese. Kempe ricorda difatti l’eco mediatica degli “aiuti” (qui smascherati) arrivati da Pechino al nostro Paese, nonché di come abbiamo alimentato la percezione di una Cina come “unico” Paese a supportare la Penisola nel pieno dell’emergenza.

UN ERRORE DI TRUMP?

Ne consegue la proposta di Kempe a Donald Trump per recuperare terreno: “Offrire alla comunità transatlantica una dichiarazione di guerra sulla base dell’articolo 5 contro questo patogeno mortale”. C’è bisogno, spiega il presidente dell’Atlantic Council, “di un gesto simbolico di unità”, una necessità ancora più forte di quella post-11 settembre. Eppure, Trump ha scelto secondo Kempe la strada opposta: “Senza consultare gli alleati, ha decretato il divieto di voli dall’Europa, un decreto che è entrato in vigore venerdì a mezzanotte dopo un discorso nell’Ufficio ovale in diretta su tutte le reti televisive americane, lasciando la squadra di sicurezza nazionale del presidente a grattarsi la testa per correggere errori e colmare importanti omissioni”. Al contrario, afferma Kempe, avrebbe potuto ricorrere all’articolo 5, “calmando i mercati e forse delineando persino sforzi comuni, compresi i limiti di viaggio, da concordare con i partner della Nato e dell’Unione europea”.

VERSO UNA NUOVA CRISI FINANZIARIA

C’è però margine per recuperare terreno, e lo dimostra la narrativa che lo stesso Trump ha iniziato ad adottare da qualche giorno contro la propaganda cinese sull’Europa (ne abbiamo parlato qui). Anche perché, spiega Kempe, ci avviciniamo a una crisi dell’economia mondiale. Il presidente americano “avrà bisogno dell’Europa, proprio come ne ebbero gli Stati Uniti nel 2009, poiché questa crisi sanitaria sta rapidamente diventando una crisi dei mercati e finanziaria che potrebbe essere affrontata in modo molto più efficace attraverso misure coordinate di stimolo della sanità pubblica e di bilancio”. Tra l’altro, “rispetto al 2009, i livelli record di debito e i bassi, se non negativi, tassi di interesse, offrono capacità molto minori (di risposta, ndr) e dunque richiedono un impegno più condiviso”.

LA RISPOSTA EUROPEA…

Non è un caso che il bando di Trump sui voli dall’Europa sia stato accolto con particolare freddezza da Bruxelles, con una nota congiunta dei presidenti di Commissione e Consiglio europei Ursula von der Leyen e Charles Michel. Risposta che però non nasconde la divisione tra gli Stati europei in merito all’emergenza, per taluni sintomo di un’Unione europea troppo inattiva. “In tempi precedenti di incertezza europea – nota il presidente dell’Atlantic Council – gli Stati Uniti potevano fornire la colla necessaria per tenere tutti insieme”.

…E LA PROPOSTA

È in crisi un ripensamento globale dei rapporti internazionali. “Le crisi – spiega Kempe – rendono le istituzioni e le relazioni più forti o più deboli, ma non le lasciano mai invariate”. Il pericolo politico di una pandemia “è che i Paesi – proprio come alcune persone – sentano di bastare a se stessi”. Eppure, un segnale di unità occidentale arriva proprio dal Vecchio continente. “Dopo un imperdonabile ritardo iniziale, gli europei stanno iniziando a mostrare più solidarietà tra loro; i leader dell’Ue hanno impegnato 25 miliardi di euro per rispondere alla ricaduta economica, di cui 7,5 miliardi di euro dovrebbero essere disponibili rapidamente per provvedere alle necessità di emergenza”. Ora, nota Kempe, “tocca agli Stati Uniti: per quanto fantasiosa possa sembrare l’idea, è tempo di invocare l’articolo 5 della Nato per combattere il virus”.


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