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La sfida del futuro (e della speranza). I 70 anni della Fim raccontati da Bentivogli

La Fim-Cisl compie 70 anni. Certo, non sono giorni di festa questi della primavera 2020, funestati da una pandemia quasi “medioevale” e da una conseguente crisi economica e sociale di cui non si riesce a intravedere ancora la fine. Nonostante tutto, non rinunciamo a ricordare da dove siamo partiti e a fare memoria di un patrimonio di valori di cui portiamo il peso della responsabilità.

Il 30 marzo 1950, a Milano, si riunivano in Commissione paritetica i rappresentanti della Fillm (Federazione dei liberi lavoratori metalmeccanici) e del Silm (Sindacato dei lavoratori metalmeccanici), i due sindacati metalmeccanici nati dalla scissione sindacale del 1948 e usciti dalla Fiom che, fino al 1948, era stata la sigla unitaria del sindacato metalmeccanico aderente alla Cgil anch’essa, fino ad allora, sigla unitaria del sindacato promosso nel giugno 1944 dalle forze antifasciste nel Patto di Roma. La prima era la categoria che faceva parte della Libera Cgil, la componente sindacale cristiana che nel 1948 era uscita dalla Cgil unitaria, ormai egemonizzata dalla componente socialcomunista, perché non disponibile a usare il sindacato come arma politica di opposizione; la seconda era parte della Fil (Federazione italiana del lavoro), a dominante socialdemocratica e repubblicana, uscita qualche mese dopo dalla Cgil unitaria per le stesse ragioni. 

Decisero all’unanimità di mettere insieme le proprie forze per costituire un unico sindacato dei metalmeccanici che prese il nome di Fim (Federazione italiana dei metalmeccanici) la cui nascita fu accompagnata da quella del suo giornale, il Ragguaglio. Di lì a un mese, il 30 aprile, a Roma, nel teatro Adriano, si sarebbe costituita formalmente la già nata Cisl, erede della Lcgil e di parte della Fil (l’altra parte avrebbe costituito la Uil nello stesso anno).  

I metalmeccanici della Cisl, la Fim, nascono in un contesto durissimo come si può leggere dai documenti di allora dove colpisce la durezza del confronto-scontro con la componente socialcomunista. Lo sfondo è noto: ormai imperversava la “guerra fredda” tra l’Occidente “democratico”, egemonizzato dagli Stati Uniti, e l’Oriente “comunista”, dominato all’Unione Sovietica di Stalin. Questa spaccatura si ripercuoteva anche all’interno del movimento dei lavoratori, ne determinava anzi le scelte divaricanti da un’organizzazione all’altra. L’asprezza del linguaggio, in questi documenti, è il riflesso delle difficoltà di rapporto tra le diverse componenti del movimento sindacale. 

Colpisce, tra l’altro, l’impressionante serie di violenze denunciate dalla relazione del primo congresso della Fim. Siamo stati tentati di tacere, nel ricordo delle nostre origini, su quegli avvenimenti ma ci è parso giusto, anzi doveroso, non rimuoverli perché danno il senso reale delle condizioni nelle quali la Fim-Cisl è nata. Sul sito www.fim-cisl.it abbiamo messo a disposizione i documenti, dando vita a un repertorio straordinario.

Per fortuna, il mondo – almeno quello in cui abbiamo avuto la ventura di nascere e operare – è assai cambiato da allora. Nel sindacato c’è stata la sperimentazione di una vera, anche se problematica, unità e poi – negli ultimi vent’anni – il ritorno alla divisione e a un “confronto competitivo”, ma non più in un orizzonte di scontro tra blocchi politico-ideologici, bensì all’interno di una divaricazione più “laica” tra modelli e pratiche sindacali differenti. 

Certo, anche oggi, almeno nella nostra categoria, tocca spesso scontrarsi con atteggiamenti che a volte hanno assunto toni prevaricatori e minacciosi quando si è trattato di prendere decisioni difformi, ma è ben altra musica da quella che si suonava nel 1950. Siamo quindi lontani dall’amara conclusione che, tornando con la memoria a quegli anni, poco o nulla sarebbe cambiato perché molto, infatti, è appunto cambiato. 

Ci sembra utile per tutti ricordare le nostre origini senza filtri né reticenze, anche perché da questi documenti, al di là delle ragioni di scontro, traspare una concezione di fondo che rimane tuttora nostra, ispirata dalla preoccupazione di preservare il sindacato dalla strumentalizzazione politica e agitatoria, affinché resti luogo e strumento di rappresentanza degli interessi e delle aspirazioni dei lavoratori, indipendentemente dalla costellazione politica di riferimento. 

Un modo per rendere omaggio ai nostri “padri fondatori” che in condizioni tanto difficili hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di gettare le basi di un sindacalismo libero, democratico e autonomo che nella Fim ha trovato piena realizzazione e nella Cisl la casa naturale.

Il tratto distintivo della Fim, il valore della libertà, è diventato nel tempo quasi un culto che talvolta l’ha spinta a essere, orgogliosamente, irriverente nella propria autonomia, frutto di culture, idee, sensibilità ed esperienze diverse.

Dalla Fim negli anni’60 partirono le spinte più forti al rinnovamento sindacale, con la battaglia per l’autonomia e l’incompatibilità tra incarichi sindacali e politici, proponendo una strategia contrattuale innovativa, la contrattazione articolata, più vicina alle persone, il contratto “aziendale” o “integrativo”, che noi non chiamiamo “di secondo livello” proprio perché non meno importante del primo. Un’impostazione fedele all’indicazione di Giulio Pastore per cui la democrazia sostanziale vive in azienda grazie alla contrattazione e alla partecipazione dei lavoratori che consente di incidere e promuovere la solidarietà nel mercato.

Dall’autunno caldo delle fabbriche arrivò poi una spinta fortissima al rinnovamento sindacale. La Fim è sempre stata terreno fertile per questa sua capacità di utilizzare la partecipazione come fine e come strumento di crescita culturale attraverso l’esperienza sindacale. Nella Fim Cisl la diversità di idee e di stili diventa quella capacità di sintesi che, arricchita dalla formazione, consente di sfuggire all’inaridimento del conformismo.

Per questo siamo usciti dalla gloriosa stagione unitaria della FLM degli anni ’80 non facendo leva su ideologie o appartenenze partitiche ma puntando sulle persone, sugli attivisti, realizzando il centro di studi e formazione di Amelia, il famoso Romitorio, che ha ospitato gli insegnamenti di illustri intellettuali italiani, come Federico Caffè, che hanno dato nuova spinta e una solida preparazione a generazioni di “fimmini”.

La Fim-Cisl è sempre stata dentro le reti del sociale più vitale. Ne è un esempio l’augurio che ieri Don Virginio Colmegna ha voluto rivolgere ai fimmini per incoraggiarli a superare le difficoltà di questi giorni incerti e per prepararli all’impegno e alla responsabilità che dovranno spingere la ripartenza, con un occhio di riguardo agli ultimi e ai più deboli.

Vittorio Foa, tanti anni fa a Formia, disse: “La Fim è una bellissima organizzazione perché sa di essere condannata a pensare”, cercando di non smarrire lo spirito utopico del calabrone, del suo paradosso che lo porta a volare a dispetto delle leggi della fisica che, applicate a una forza sindacale, oggi come allora, significa andare avanti al di fuori di collateralismi partitici, istituzionali, aziendali.

La Fim ha sempre avuto fiducia nel progresso, speranza di una condizione umana nuova e migliore, a partire dai più deboli. Anche nelle stagioni in cui il radicalismo attraversava le forze sindacali del nostro paese, la Fim non ha mai smarrito il suo tratto distintivo: amare più le persone che le idee. Oggi, la sfida dettata dalle tre grandi trasformazioni in atto – demografica, climatica e digitale – vede ancora una volta protagonista una Fim che non accetta atteggiamenti difensivi ma che piuttosto guarda ai cambiamenti come occasioni affinché le persone si “liberino nel lavoro”. Oggi queste sfide vanno raccolte lasciando ai giovani uno spazio di protagonismo autentico. Non è ammesso tenere l’umanità in panchina, tanto più se si tratta delle nuove generazioni che hanno invece il diritto di progettare il futuro che dovranno abitare.

Uscire dalle crisi nello stesso modo in cui vi si è entrati significa restare imprigionati in un circolo vizioso che necessita, al contrario, del coraggio di avviare autentici nuovi inizi. Come ha detto Papa Francesco nella storica benedizione urbi et orbi in una Piazza San Pietro deserta, “la tempesta ci ha fatto scoprire vulnerabili ma a molti sta insegnando a riconoscersi come fratelli”. Questi giorni difficili ci mostrano i vizi più odiosi delle persone ma anche le virtù di tanti a rimboccarsi le maniche affinché il “nulla sarà più come prima” sia un realistico approdo ad un mondo migliore. L’organizzazione del sindacato deve continuare a interpretare il messaggio delle origini: insieme per promuovere giustizia. I lavoratori devono poter sentire, oggi, che grazie al sindacato si è più forti e più liberi. Proprio per difendere questo spirito, 70 anni fa, è nata la Fim-Cisl.

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