Skip to main content

Come leggere la lettera del Comandante Alfa. L’opinione del gen. Panato

alfa

Che dire della lettera aperta del “Comandante Alfa”, fondatore del Gis dei Carabinieri? Che dire di una lettera aperta che non si discosta granché da infiniti altri interventi che stanno impazzando sui social, sia per la violenza dei toni, sia per il tipo di ragionamenti?

Sarebbe limitativo trattarla da “spam”, visto che rappresenta un’ulteriore testimonianza dello sconcerto e dell’inquietudine di tanti rispetto a un fatto che ritenevamo archiviato dalla storia: la peste, perché di questo si tratta. Sconcerto reso ancora più doloroso dalla constatazione che la stiamo affrontando, nonostante tutte le nostre tecnologie, pressoché a mani nude e con i metodi del medioevo: l’isolamento e il lazzaretto.

C’è però un’altra considerazione da fare sulla lettera: essa propone, ancora una volta, una visione (ad essere buoni) semplicista della realtà, che invece è infinitamente più complessa. Non che le cose vadano bene, tutt’altro. Ma cosa vuol dire sigillare confini e porti? Non ci rendiamo forse conto delle interdipendenze economiche tra Stati, anche in termini di beni essenziali, che ci piaccia o meno? Ugualmente per la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali: abbiamo idea di quanto lunga e complessa sia la filiera? Vogliamo strozzarci con le nostre mani e diffondere il panico sociale?

Nella penosità dei giorni che viviamo siamo confortati dalla fiducia che ci sarà cibo nei supermercati e medicine nelle farmacie. Cosa accadrebbe se questa fiducia venisse meno?

Certo, a voler dire delle cose che non vanno bene, si può iniziare dalla comunicazione ufficiale. Non si capisce perché non debba essere fatta da un esponente del governo anziché dal capo della Protezione civile. Se ne avvantaggerebbe l’autorevolezza e la unicità del messaggio. Abbiamo assistito negli scorsi giorni a situazioni surreali: a fronte di esperti che mettevano giustamente in guardia dalle possibili conseguenze del virus, pochi ma titolati esponenti del mondo accademico parlavano di una normale influenza o poco più. Quanta confusione ha generato nel pubblico questa informazione ambigua e quanti danni ha provocato? Credo molta più degli sprovveduti che facevano jogging nei parchi. Un esponente del governo avrebbe potuto stigmatizzare prontamente questi narcisisti accademici con la dovuta autorità.

Abbiamo dei chiari esempi di come la comunicazione vada fatta in situazioni particolari. Tutti credo ricordiamo i briefing degli Stati Uniti durante le guerre del Golfo e quelle della Nato durante le guerra del Kosovo. Ecco, si dovrebbe partire da lì. Non ci si dovrebbe limitare all’aritmetica dei contagiati e quant’altro, ma si dovrebbe soprattutto dare un senso ai sacrifici che ci vengono chiesti. Si dovrebbe spiegare agli italiani ad esempio che ci si sta muovendo su un difficile crinale, che da un lato vede il controllo della epidemia e dall’altro il mantenimento della coesione civile e sociale del Paese. L’una è collegata all’altra e questo dovrebbe essere detto ancora una volta da un autorevole esponente del governo con la relativa assunzione di responsabilità politica.

Quanto al lessico più contundente della lettera (quello che evoca battaglie, pallottole e sangue), sorvolerei. In parte perché i militari in questi frangenti sono impegnati in altre cose, ma soprattutto perché hanno ben chiaro il ruolo che la Costituzione della nostra Repubblica assegna loro. Quando questa contingenza sarà superata – tutti auspichiamo sia prima possibile – tireremo le somme e cercheremo di trarre insegnamento dall’accaduto adottando gli opportuni adeguamenti. Credo però che il ruolo dei militari in una moderna democrazia, quale è la nostra, non potrà che rimanere quello che è ora.


×

Iscriviti alla newsletter