Gli Stati Uniti hanno annunciato il secondo decesso a causa del coronavirus (nello Stato di Washington, dove già si era registrata la prima vittima) nelle stesse ore in cui le autorità sanitarie dichiaravano il primo caso di infezione nello Stato di New York. Si tratta di una donna di oltre 35 anni, secondo quanto ha reso noto il governatore Andrew Cuomo, precisando che era tornata da poco dall’Iran. “La paziente ha sintomi respiratori, ma le sue condizioni non sono gravi ed è sotto controllo da quando è arrivata a New York”, ha aggiunto invitando la popolazione a non cedere al panico: “Non c’è motivo di preoccupazioni infondate, il rischio generale a New York rimane basso”.
IRAN EPICENTRO DEL MEDIORIENTE
Tra i Paesi che stanno avendo maggiori difficoltà a gestire l’epidemia c’è l’Iran, dove i casi registrati sono 978 di contagio e 54 morti. Stando ai dati ufficiali è morto il 5,5% delle persone contagiate, percentuale superiore agli altri Paesi, in cui il tasso di letalità non supera il 3%. Per questa ragione sembrano guadagnare credito le voci di contagi superiori rispetto a quelli comunicati dai funzionari della Repubblica islamica.
Scuole chiuse, eventi sportivi e concerti sospesi, popolazione invitata a restare chiusa in casa. E così la scarsa trasparenza da parte del regime sul virus, che ha colpito e ucciso anche diversi politici, ha alimentato le proteste della popolazione già schiacciata dalla repressione e da un’economia che fatica a decollare. Pesano soprattutto i ritardi, in particolare nelle comunicazioni riguardo alla città santa di Qom, focolare iraniano a due ore dalla capitale Teheran. Diverse le manifestazioni nel Paese causate dalla mancanza di chiarezza da parte del regime: proteste a Shaft per il trasferimento di infetti nell’ospedale cittadino e a Bandar Abbas un gruppo di persone ha dato alle fiamme una clinica, convinto che ospitasse pazienti contagiati dal coronavirus provenienti da Qom.
LE DIMENTICANZE DEL NEW YORKER
Dell’epidemia in Iran si è occupato, tra gli altri, il New Yorker. La rivista ha cercato di raccontare come la Repubblica islamica sia diventata il nuovo epicentro del coronavirus. Dall’Iran sono partiti partiti casi di contagio segnalati in diversi Paesi – Azerbaigian, Afghanistan, Bahrein, Canada, Georgia, Iraq, Kuwait, Libano, Oman, Pakistan, Emirati Arabi Uniti e in ultimo Stati Uniti. E molti di questi casi sono legati a visite a Qom. La politica avrebbe dovuto far di più riconoscendo il focolaio di Qom ed evitando i silenzi, spiega la rivista. E ancora: il Paese rischia di pagare in termini economici in una fase contraddistinta per altro dalla strategia di massima pressione a suon di sanzioni da parte degli Stati Uniti.
Quello che però il New Yorker non cita è il caso di Mahan Air, la compagnia dei Pasdaran sotto sanzioni Usa per proliferazione di armi di distruzione di massa e sostegno al terrorismo, bloccata anche dal nostro Paese qualche mese fa. Il vettore sta continuando a effettuare voli da e per la Cina sostenendo che a bordo dei velivoli si trasportavano kit diagnostici verso Teheran.
IL RUOLO DI MAHAN AIR
Ma non sembra davvero così. Da Qom un funzionario alcuni giorni fa aveva comunicato che “la maggior parte dei casi iraniani” di contagio da coronavirus “sono stati collegati a Qom, una delle principali destinazioni religiose per i pellegrini sciiti”, che si trova “85 miglia a Sud di Teheran”. Ma soprattutto si trova a meno di 30 miglia della struttura di “ricerca” nucleare di Fordow, frequentata anche da numerosi scienziati provenienti dalla Cina continentale.
Ecco perché tra chi protesta in Iran si sta affermando la convinzione che il regime abbia pesanti responsabilità: tra queste, quella di non essere riuscito a convincere i Pasdaran a fermare i voli di Mahan Air da e per la Cina.