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Mettetevi comodi, è ripartita la caccia al burocrate

Signore e signori, mettevi comodi: è ripartita l’onda lunga della caccia al burocrate. Complice il clima da Covid-19, che ha colpito in modo drammatico l’Italia, riemerge sui mezzi di comunicazione il rancore sordo che tanti covano avverso i travèt nostrani. Nulla di nuovo, per carità: la pubblicistica Italiana conta migliaia e migliaia di pagine avverso i mali della burocrazia, con una serie pressoché infinita di accaniti censori che, quale rimedio per le innumerevoli magagne di cui soffre il Paese, predicano la soluzione finale per tecnocrati e tecnocrazia. Non che non manchino le cose da fare, naturalmente. Come in tutte le democrazie complesse, in Italia sono accresciuti a dismisura i compiti regolatori richiesti alla macchina pubblica, alle prese con una bulimia normativa che, non lo si trascuri, è ormai in gran parte in mano agli esecutivi, con un corto circuito legislativo la cui matassa va dipanata, alla fine della fiera, proprio dai dannati delle scrivanie. Per il resto, Max Weber è ancora di vivissima attualità: la burocrazia ha certamente un alto grado di autoreferenzialità e, soprattutto in Italia, vive ancor troppo, in maniera quasi esasperata, di formalismo adempimentale. Molto è cambiato e molto è in trasformazione. Una delle conseguenze dell’epidemia che ha colpito l’Italia è quella di aver dato una fenomenale scossa agli uffici col lavoro da remoto, l’ormai noto smart working, con tutti i potenziali, positivi riverberi sull’organizzazione pubblica, i cui effetti andranno attentamente valutati per il futuro. Insomma, ben vengano le critiche: il sistema delle amministrazioni pubbliche è un’organizzazione come tutte le altre e se non si trasforma muore.

Colpisce, tuttavia, come si passi, senza pudore, dal giudizio severo e l’analisi, pure impietosa, al qualunquismo populista. Sbandierare assiomi nel carezzare il pelo al popolo dei forconi sembra diventato lo sport preferito di molti in uno dei momenti più critici che il Paese vive dal secondo dopoguerra ad oggi. Qualche esempio? Su “il Riformista” del 17 marzo, Piero Sansonetti, in un pezzo dal sobrio titolo “Burocrazia, il male che sta uccidendo chi ha il coronavirus”, si chiede quando ci si deciderà “a fare la guerra alla burocrazia e all’etica dei burocrati che travolge lo spirito di un Paese”. Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera” del 27 marzo, non ha dubbio alcuno: non si pensi, scrive, che “i grandi intralci che la burocrazia pone alle attività economiche siano dovuti solo all’ottusità” (bontà sua), perché il vero motivo per cui “occorrono tempi biblici e una grande quantità di adempimenti per poter aprire un qualunque esercizio economico e poi per poterlo mantenere è che ne viene esaltato il potere discrezionale della burocrazia”. Non si chiede, l’illustre professore, chi e perché ha stabilito quelle procedure, dato che, conclude, “è la storia italiana” che lo dimostra. Amen. Franco Bechis, su “Il Tempo”, nel suo articolo del 28 marzo “Via la burocrazia o si muore”, sostiene che “bisogna mettere via ogni norma, ogni istruzione, ogni baraccone come Inps, Consip e quanto altro” per salvare il Paese: insomma, alla bersagliera, per citare l’immortale Ragionier Fantozzi Ugo. Il 21 marzo Giuliano Foschini, Marco Mensurati e Fabio Tonacci su “La Repubblica” firmano una pagina che denuncia il vergognoso meccanismo da borsa nera per le indispensabili mascherine, mettendo però assieme, chissà perché, “sciacalli e burocrati” (ops!): poco conta che nel pezzo non si trovi evidenza del fatto che si facciano affari insieme, il messaggio è stato lanciato. Dal canto suo Alessandro De Nicola, docente ed editorialista solitamente acuto nelle sue analisi, su “la Stampa” del 28 marzo afferma, in un articolo dal misurato titolo “I burocrati ostacolano la Nazione” (addirittura?), che “appare evidente come le pastoie e la mentalità burocratiche siano il primo peso di cui liberarci per avere una chance di successo”: appare evidente?

Nossignori, non si intende minimizzar nulla o negare che procedure, regole e prassi possono e devono essere cambiate e migliorate. Lo chiedono – pensate – gli stessi burocrati. E neppure ricordare per l’ennesima volta che la cattiva burocrazia va spesso a braccetto con la cattiva politica, che scarica a valle la sua rincorsa al momento e all’annuncio di risultati che tali non sono, tanto c’è chi ci metterà una pezza domani. Siamo tutti donne e uomini di mondo, diamo tutto il pacchetto per acquisito. Il punto è che sorprende – anzi, sgomenta – come sembra si sia sempre più spesso incapaci di formulare un pensiero solido, fondato sulla comprensione del fenomeno su cui si intende offrire la propria opinione o il proprio contributo. Il funzionamento della macchina dello Stato non è cosa semplice, proprio come non è semplice gestire una banca, una compagnia telefonica, un giornale. Anzi, di più. Eppure, il Paese sforna continuamente battaglioni di esperti di pubblica amministrazione, pronti a elargire ricette miracolose infilate sulle baionette. Appare smarrito il piacere dell’approfondimento, persa la capacità di dialogo, pure aspro, ma che vuole arrivare ad una sintesi che porti ad un passo avanti. Regna la voglia di “asfaltare” (che orrore!) il nemico oggettivo per eccellenza, colpevole a prescindere, direbbe il Principe. Non ci si meravigli: l’argine è stato travolto da tempo, con un vero e proprio salto di qualità compiuto dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi che, nel dichiarare in un evento pubblico che occorreva aggredire la burocrazia, il “nostro più grande avversario”, arrivava a dire che nella palude Italiana “i funzionari, i dirigenti pubblici, i burocrati ci sguazzano, ma nella palude le famiglie italiane affogano”.

È l’aria che tira: è sufficiente, d’altronde, scorrere sui social network i commenti a prese di posizione come quelle illustrate per inorridire e immedesimarsi seduta stante nel povero Dante Ceccarini, l’esilarante e ingenuo personaggio interpretato da Roberto Benigni in “Johnny Stecchino” che, indotto a prendere il posto del criminale suo sosia, viene seraficamente e continuamente apostrofato da un implacabile concittadino come “Assassino!”. Non ci si può esimere, tuttavia, dal fare due richiami. Il primo richiamo è alla responsabilità di chi si rivolge alle pubbliche opinioni, soprattutto in un momento così delicato per il Paese. Delegittimare, senza fare nomi e cognomi, un’intera categoria di lavoratrici e di lavoratori che, al netto dei mille problemi di cui soffre la nostra burocrazia, fanno andare avanti la carretta non è solo velleitario, ma dannoso. Semplificare per solleticare mortifica chi fa il proprio dovere e lavora con dedizione per le comunità, mina la credibilità delle Istituzioni e ingenera rabbia sociale nei cittadini. Il secondo richiamo è alla ragione, merce sempre più rara oggidì. In questa rinnovata caccia all’untore qualcuno si azzarda a chiedersi perché quel funzionario o quel dirigente dovrebbe ostinarsi a mettere i bastoni fra le ruote alla politica, a sabotare astutamente il glorioso flusso degli eventi, a elaborare, nel chiuso del suo polveroso ufficio, ogni possibile, inimmaginabile cavillo per rendere impossibile la vita dei cittadini e affossare definitivamente il Paese? Perché, in nome di Dio? Al netto di tutti i difetti propri della burocrazia pubblica, spacciare l’idea che i civil servant, cittadini Italiani come gli altri, operino scientemente e dolosamente a danno del Paese, soprattutto quando le persone muoiono per il contagio, è semplicemente vergognoso. Mentre da un lato medici, infermieri, operatori della protezione civile e forze dell’ordine sono in prima fila per contrastare il contagio da corona virus e, dall’altro, impiegati, funzionari e dirigenti nei tanti uffici portano avanti, tra mille difficoltà, l’ordinaria amministrazione per far sì che lo Stato non si fermi, certe accuse suonano ingenerosi e lunari. Si affrontino senza peli sulla lingua tutte le crepe che attraversano la nostra (sì, è nostra!) amministrazione, non per punire in nome di un livore giacobino, ma per far crescere al meglio una delle componenti indefettibili del Paese, che ha l’onere e l’onore di servire al meglio cittadini, famiglie e imprese. Sappiate che costa fatica: tanta. E da parte di tutti gli attori in gioco. Se gli opinion maker di casa nostra vorranno tenere a mente queste poche cautele, chi ne trarrà vantaggio sarà il Paese, noi tutti.



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