Prendere atto che siamo in quello che i teorici della politica chiamano “stato d’eccezione”, è un dovere di onestà intellettuale e quindi morale. Ogni discussione sul futuro del governo presieduto da Giuseppe Conte dovrebbe partire da qui.
Nello “stato d’eccezione”, secondo Carl Schmitt, si fonda la sovranità: sovrano è non “il popolo”, che è un’astrazione, non il Re, che almeno in Italia non esiste da un bel po’ e altrove ha un valore solo simbolico, ma chi prende le decisioni che vanno prese per il bene della Patria, cioè per la salus rei publicae di cui parlavano i romani. E il termine salus mai come in questo caso sembra appropriato. Possono decidere i tecnici, cioè in questo caso medici e scienziati? A me sembra di no. Dobbiamo certo affidarci al loro sapere e alla loro competenza specifica, ma poi la decisione ultima deve essere politica. Sia perché la scienza è per sua natura “neutrale”, e quindi irresponsabile; sia perché gli stessi scienziati, come ci hanno dato dimostrazione in questi giorni, hanno opinioni differenti e spesso lontane sull’epidemia.
Perché se la scienza non sbaglia, come dice la retorica a buon mercato di certa stampa, gli scienziati che la traducono in idee e parole sì per il semplice fatto che sono esseri umani. Senza contare che l’emergenza non è ormai più solo sanitaria, ma economica e in prospettiva (molto concreta) di sicurezza e ordine pubblico.
Se allora la responsabilità ultima è politica, in capo a chi dobbiamo imputarla? Al governo o al Presidente della Repubblica, che è pure capo delle Forze Armate (e non escludo che i militari saranno fra un po’ chiamati a presidiare le strade)? E qui cominciano i problemi seri perché, udite udite, la nostra Costituzione, quella che alcuni definiscono “la più bella del mondo”, non ce lo dice, o meglio non è chiara sul punto. Il compianto e grande Presidente della Repubblica che rispondeva al nome di Francesco Cossiga ce lo ricordava continuamente, ma noi distratti e silenti facevamo finta di nulla. Tanto vivevamo in un mondo di “felicità” che si era lasciato alle spalle le guerre e tutti noi italiani, con furbizia e capacità di arrangiarci, ci credevamo in diritto di godere in eterno il benessere e la pax democratica.
Senonché la storia non sta ferma, e prima o poi ti presenta il conto. L’emergenza forte, quasi e forse più di una guerra, è arrivata e noi ci troviamo oggi nella situazione che non sappiamo come affrontare. Il Presidente della Repubblica è sembrato risolvere il dilemma con una sorta di volontaria devolution di poteri, cioè col delegare tutto al governo, dicendo che bisogna seguire pedissequamente le sue indicazioni (e magari fossero chiare e univoche!). Salvo poi manifestare, come sembra, irritazione in privato per il modo a dir poco maldestro con cui viene gestita la comunicazione istituzionale (di prioritaria importanza in questa situazione).
Il problema è però serio, sostanziale, e lo ha già sollevato su queste colonne Roberto Arditti. Può un governo di minoranza nel Paese, e quindi politicamente non legittimato, gestire una crisi così grave? Avevamo già altre volte messo in evidenza la discrasia creatasi in Italia col secondo governo conte fra legalità costituzionale e legittimità politica, ma se essa era fino a un mese fa tollerabile ora non lo è più. Per il bene della nazione e per la salus rei publicae, in primo luogo.
Delle due l’una: o qualcuno (casomai Conte) si fa dictator (avoca a sé la sovranità); oppure le forze politiche danno vita a un esecutivo di emergenza e salvezza nazionale, entrando dentro tutte in maggioranza. Stando ancora in democrazia, non avrei troppi dubbi su quale sia la via migliore.