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Perché l’open innovation ci salverà

Di Andrea Chiappetta

Viviamo giorni terribili, si rincorrono notizie quotidianamente sul numero di persone che risultano positive al coronavirus, su aziende che vengono comprate a prezzi di saldo.

Assistiamo però allo stesso tempo ad enormi gesti di solidarietà da parte di tutti, dalle imprese ai singoli cittadini.

Tutto questo fa ben sperare, su come, qualsiasi shock, può portare anche aspetti positivi e quindi passi avanti e occasioni per recuperare il tempo perso oltre che a creare nuove opportunità.

Il ruolo fondamentale, è svolto e sarà svolto dall’open innovation, dalla sinergia pubblico privato e soprattutto dalle grandi imprese che avranno il compito di trainare la risalita, che dovrà essere sostenuta, forte e qualificata.

Henry Chesbrough, economista e Faculty Director del Garwood Center for Corporate Innovation in California, ha pubblicato il suo lavoro su come la globalizzazione avesse reso possibile, per le strutture complesse ed i processi di ricerca e sviluppo, rispondere alle mutevoli esigenze legate alla velocità di cambiamento delle esigenze dei consumatori, invitando ad uscire dai confini dell’impresa e di rivolgersi all’esterno. Questo processo prende il nome di open innovation ed è parte integrante del concetto di start up, ovvero “come soddisfare una esigenza secondo metodi innovativi.”

In un’epoca contraddistinta dalla globalizzazione e dalla rivoluzione digitale si è sempre più consolidato un nuovo modo “agile” di fare impresa, basato su centri di incubazione di start-up e finanziamenti spesso alimentati “dal basso”, mediante il crowdfunding. Tale modello rende più agevole premiare i progetti a maggiore carattere di innovazione, e unisce in un circolo virtuoso ideatori, finanziatori, imprenditori e consumatori.

Nel nostro Paese sono già più di 10.000 le nuove società di questo tipo. Nel corso degli anni ne ho incontrate tante, fatte da giovani, che hanno deciso di mettersi in gioco, spesso abbandonando il mito del posto fisso e scommettendo su se stessi. È una tendenza bellissima che da forza ed energia. Saranno loro, con le loro idee, sacrifici, errori, successi (non per tutti, dobbiamo metterlo in conto), ad avere una chance di essere protagonisti del cambiamento.

Innovazione e start up rappresentano elementi fondamentali per la crescita di un Paese come l’Italia, che presenta limiti strutturali, quali deficit energetico e di materie prime, ed uno squilibrio nord-sud che ci caratterizza di fatto come un’economia a due velocità.

Il tessuto produttivo nazionale, caratterizzato dalla prevalenza di Piccole e Medie Imprese (PMI), può essere terreno fertile per una modernizzazione della iniziativa imprenditoriale italiana, in un contesto in cui gli abilitatori tecnologici mettono a disposizione nuove opportunità di crescita senza dover necessariamente conseguire le dimensioni e le economie di scala tipiche della grande impresa.

Nel supportare la spinta alla nuova imprenditorialità delle start up, il nodo gordiano risiede nel sostegno ai finanziamenti: proprio in virtù dell’elevato rischio connaturato nel business delle start up, la disponibilità di credito, pur presente in questi tempi di elevata liquidità monetaria, spesso non incontra la progettualità innovativa.

Il Fondo nazionale per l’innovazione, di recente approvazione, rappresenta una misura concreta per favorire, sostenere e diffondere innovazione attraverso start up, incubatori di impresa e PMI; questo viene affiancato da altre misure a corollario: voucher per gli innovation manager, sgravi fiscali, istituzione delle Società di Investimento Semplice, e logiche di venture capital, grazie alle quali, attraverso tale fondo e quindi Cassa Depositi e Presiti, sarà possibile supportare finanziariamente imprese ad elevato potenziale innovativo, ma anche tramite il Fondo Italiano di Tecnologia che ha come mission il compito di Supportare l’innovazione e la competitività del sistema industriale italiano. Abbiamo l’occasione per creare un esempio virtuoso di come superare questo momento, così duro e complesso, avvalendoci della potenza di fuoco di un Paese come il nostro, che in termini di competenze e genialità ne ha da vendere.

Una buona politica industriale deve saper coniugare i fattori tecnologici abilitanti al superamento dei limiti culturali e burocratici, e stiamo sulla strada giusta, ma non possiamo permetterci di rallentare. È noto che in diverse parti del mondo la tecnologia e le start up abbiano creato veri e propri nuovi modelli che hanno pervaso il mondo, basti pensare a Facebook, WhatsApp, per citare casi americani o Alibaba, Tencent o TikTok per portare esempi made in China. Tutto questo è stato possibile grazie alla possibilità di seguire due modelli opposti, quello americano, basato sul concetto di libero mercato, dove una idea è stata realizzata, validata e trasformata in prodotto o servizio; quello cinese che ha perseguito un modello top down, dove le autorità governative hanno impostato le proprie azioni con finalità specifiche, guidate da Stato per governare l’avanzamento tecnologico, varando il piano MADE IN CHINA 2025 – con cui quel Paese si pone l’ambizioso obiettivo di diventare leader tecnologico sull’intelligenza artificiale.

Due metodologie opposte, quindi, che hanno raggiunto il medesimo risultato, creare dei giganti globali che “si cibano di dati”. Oggi le frontiere principali riguardano il machine learning e l’intelligenza artificiale, che in sé sono applicabili a qualsiasi settore, dalla sanità alla logistica finanche al mondo bancario. In entrambi i continenti le risorse pubbliche e private hanno raggiunto cifre incredibili che superano il Pil di paesi non avanzati. Tutto questo è nato da un progetto, da una idea il cui impatto non ha confini.

L’Italia ha sacche di intelligenza e competenze tecnologiche tutte da valorizzare, è nostro dovere far si che queste capacità siano sostenute ed incubate in Italia, ma che abbiano rilevanza internazionale, creando “interazioni” costanti e non limitandosi a dare pochi fondi che non risultano essere necessari per arrivare ad un livello adeguato di solidità. Questo non vuol dire contributi a pioggia ma vuol dire definire un piano puntuale su cosa vogliamo fare e dove intendiamo arrivare, avendo sempre a mente che il tempo è tutto. Come disse tanti anni fa una persona che stimo molto, “l’idea è di chi la realizza non di chi la pensa”.

Occorre quindi attivarsi subito, nel promuovere e soprattutto nel ricercare quelle realtà che possono fare la differenza, è di pochi giorni fa la notizia di come una giovane società di Brescia, abbia realizzato tramite la stampa 3D in sole 6 ore valvole per i rianimatori, salvando così molte vite, fornito un servizio e dato il loro contributo.

Le grandi imprese, a partire da Enel, che ha deciso di creare ed investire importanti risorse creando Enel X, hanno saputo cogliere l’importanza di cosa voglia DISRUPTION, e come coniugare teste brillanti ad un mercato globale, rendendo l’azienda da fornitore di energia a player indiscusso della mobilità, della domotica, dell’internet dell’energia e molto altro.

Per far ripartire il Paese occorre puntare a questo tipo di sinergia, per affrontare al meglio le sfide legate alle crescenti esigenze del settore, ad esempio, delle telecomunicazioni, sempre più alla ricerca di servizi da fornire in maniera costante e non più solo “su richiesta”, il 5G apre scenari di mercato incredibili, applicabili alle smart city, smart road, smart working e ancora sanità digitale (di cui TIM ha eccellentemente rappresentato come questo possa essere fatto) e di quanto può contribuire anche a superare la complessa e critica fase di espansione e cura del virus che ha colpito tutti indistintamente.

È il momento di cogliere questa opportunità per ripartire, senza esitazione, occorre andare a prenderli, così facendo, daremo un ulteriore contributo al nostro Paese. 

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