La pandemia del Covid-19 ha finalmente posto i riflettori sulla politica e sulla spesa sanitaria, un argomento che spesso riceve meno attenzione di quanto dovrebbe a ragione sia del fatto che è in gran misura di competenza regionale sia perché ci siamo abituati ad un servizio sanitario nazionale che, grazie allo sforzo di medici, infermieri ed operatori sanitari, è fondamentalmente buono in tutto il Paese e specialmente nel Nord e in gran parte del Centro. Ed ha giustamente meritato un flashmob di applausi il 14 marzo.
La pandemia mette in gioco non solo la struttura e la competenza del servizio sanitario, ma anche il grado di incertezza politica sociale ed informativa nel Paese e la fiducia dei cittadini in coloro che hanno responsabilità di governo. Il modo in cui un governo che riconosce di non rappresentare la maggioranza del Paese (e per questo motivo non vuole andare ad elezioni) ha trattato la pandemia è stato poco tempestivo e confuso (una pioggia di differenti decreti legge, con articoli spesso di dubbia interpretazione) e caratterizzato da un accento mediatico che non credo abbia aumentato la fiducia dei cittadini nell’esecutivo. Ha contribuito, tuttavia, ad aprire un dibattito salutare sulla spesa sanitaria: è adeguata? è diminuita negli ultimi anni? è stata invece “tagliata” per dare la priorità a “mance elettorali” di cui la più visibile è il cosiddetto “reddito di cittadinanza” elargito anche a capi di cosche mafiose e terroristi?
A mio avviso, è bene partire da raffronti internazionali. Utili le cifre della banca dati Ocse che analizza e confronta le principali voci, dalla spesa al personale, dalle prestazioni agli stili di vita con dati riferiti al 2018 (o all’anno più vicino disponibile che comunque non va mai oltre il 2017).
L’Italia per la salute spende tra pubblico e privato l’8,81% del Pil, esattamente come la media dei Paesi Ocse. Ma se si analizza il pro-capite a parità di potere di acquisto, siamo sui 3.428 dollari, contro i 3.992 della media. In testa a questa classifica ci sono gli Stati Uniti con 10.586 dollari (in gran misura privata-out of pockets), in fondo il Messico con 1.138.
Il dato sulla spesa Ocse lo confronta poi anche rilevando il tasso di crescita annuale pro-capite e in questo caso l’Italia finisce in coda alla classifica con lo 0,2 prima del Messico (0,1) e dei valori negativi registrati da Francia a crescita zero e Grecia che scende a -0,4.
La decrescita nel nostro Paese è avvenuta specialmente negli ultimi anni, proprio quando esplodeva la spesa assistenziale quale il “reddito di cittadinanza”. Questi tre grafici di fonte Ocse illustrano la situazione:
Per quanto riguarda la spesa dello Stato per la salute o, a seconda dei sistemi, di assicurazione sanitaria obbligatoria, l’Italia è subito sopra la media Ocse: 74,2% del totale della spesa sanitaria contro 73,8 per cento. Ma chi fa meglio è la Norvegia con l’85,5%, mentre in fondo alla classifica è il Messico con il 51,5 per cento.
I nostri maggiori partner Ue sono tutti al di sopra del valore italiano col Regno Unito a 77,1%, la Francia a 83,4% e la Germania a 84,5 per cento. Tutto ciò indica che l’impegno “pubblico” dell’Italia per la salute dei cittadini è lungi da essere –come ascoltato in questi giorni- un esempio per il resto dell’Ue.
Analizzando il dato ma pro-capite e a parità di potere di acquisto, l’Italia è sotto la media Ocse con 2.545 dollari contro 3.038, mentre sempre i maggiori partner Ue sono rispettivamente il Regno Unito a 3.158 dollari pro-capite, la Francia a 4.141 e la Germania a 5.056. Al top questa volta ci sono gli Stati Uniti che superano la Norvegia con 8.949 dollari pro-capite contro i 5.289 del paese del Nord Europa, mentre in coda resta il Messico con 586 dollari pro-capite.
Il tasso di crescita annuo delle spese pubbliche (o di assicurazione assicurazione obbligatoria) è di 2,7 come media Ocse, ma l’Italia ferma a 0,7 e in testa alla classifica la Corea con 10,7, mentre in coda c’è ancora una volta la Grecia con -1,3.
Per quanto riguarda la spesa diretta dei cittadini (out of pocket), l’Italia registra una percentuale relativamente al di sotto della media Ocse, con il 23,08% contro il 29,22%, anche se in questa classifica i maggiori partner Ue sono tutti al di sotto, con il Regno Unito a 15,96%, la Germania a 12,33% e la Francia addirittura ultima in classifica con il 9,38 per cento. Il quadro cambia se si prende la spesa pro-capite a parità di potere di acquisito: l’Italia con 791 dollari supera la media Ocse ferma a 716 e sopra la media Ocse degli altri maggiori partner c’è anche la Germania con 738 dollari, mentre Regno Unito (629) e Francia (463) restano al di sotto, anche se questa volta ultima della classifica è la Turchia con 206 dollari e prima la Svizzera con 2.069.
Infine, il documento Ocse ha un capitolo sulla spesa i prodotti farmaceutici. La spesa corrente in percentuale (medicinali prescritti e da banco) assieme a quelle che l’Ocse definisce “altre spese mediche non durevoli” (che secondo le definizioni Istat sono i prodotti per la cura della persona), è del 17,5% in Italia e del 16,1% nella media Ocse, con tutti i maggiori partner Ue che registrano un’incidenza minore (Germania 14,1%; Francia 13,2%; Regno Unito 11,9%) e con l’Ungheria al top (27,9%) e la Danimarca fanalino di coda (6,3%).
Cambia poco la classifica questa volta considerando la spesa pro-capite a parità di potere di acquisto: l’Italia è a 601 dollari, la media Ocse a 553. Ma dei maggiori partner Ue, è sempre al di sotto il Regno Unito con 469 dollari, mentre volano al di sopra dell’Italia Francia (653) e Germania (823). Il valore più elevato è quello degli Stati Uniti che superano la Svizzera con 1.220 dollari contro 963, mentre in coda c’è questa volta la Turchia con 120 dollari pro-capite.
La contrazione della spesa pubblica per la sanità degli ultimi anni è dimostrata dal fatto che, di fronte alla crisi del “coronavirus”, mancano letti di degenza, mancano letti di terapia intensiva, mancano medici, infermieri ed operatori sanitari. Non sono stati rimpiazzati i 10.000 medici ed i 25.000 infermieri ed operatori sanitari andati in pensione. Numerosi farmaci già “gratuiti” sono diventati a pagamento, passando dalla Fascia A alla Fascia B. Inoltre, l’allungamento dei tempi di attesa, indica chiaramente che il servizio è peggiorato.
Una riflessione seria, dunque, va fatta.