In una Roma col fiato sospeso nell’attesa di sapere se il giorno dopo i pargoli sarebbero andati a scuola o era il caso di rinnovare l’abbonamento su Netflix, la bellezza dell’arte immortale di Raffaello è calata sulla città eterna come una benedizione divina.
L’apertura al pubblico è da oggi 5 marzo al 2 giugno ma è indispensabile prenotare per tempo sul sito delle Scuderie del Quirinale.
La mostra sta andando sold out anche a causa della contingentazione delle prenotazioni, fatta per rispettare l’ordinanza antivirus. Allora tuffarsi nelle oltre 200 meraviglie del grande Urbinate, e ricordare i fasti rinascimentali di un’Italia e di una Roma uniche al mondo, è quasi un rito scaramantico in tempi di Peste medievale (almeno informativa) che ci ha colto tutti.
Un percorso a ritroso che parte dalla morte del pittore a soli 37 anni (dopo una settimana di stravizi amorosi pare) e che portò al capezzale dell’artista papi e villane, principi e ruffiani, l’intero genere umano in tutte le sue sfaccettature turbato dalla scomparsa prematura di Raffaello più della morte di un papa o un condottiero. La perfetta riproduzione della tomba oggi al Pantheon, con la Madonna in marmo col Bambino è la porta per un viaggio a ritroso nell’opera immortale del pittore da cui, come scrisse il Bembo nel suo epitaffio, “La natura quando era in vita ebbe paura di essere sconfitta e quando morì di morire con lui”.
Ed ecco allora gli ultimi capolavori: l’autoritratto, lui sempre ragazzino nell’immaginario comune, con barba e baffi e il meraviglioso ritratto dell’amico letterato Baldassarre Castiglione. Poi le splendide Madonne, da quella della Rosa a quella dell’Impannata, la tavola metafisica dell’Estasi di Santa Cecilia, addirittura gli arazzi meravigliosi realizzati per la Cappella Sistina, da lui disegnati e mandati nelle Fiandre per essere intessuti con oro e gemme, nella sublimazione dell’arte pittorica in materia preziosa.
Sono gli anni di Raffaello a Roma, viziato, ricco e vezzeggiato come un principe, magari meno artista ma sempre perfetto nel rappresentare le divinità come esseri umani e gli esseri umani come divinità. È il Raffaello che ci immaginiamo, che si confonde col Raffaello architetto, ideatore di grande opere, e che lascia il posto al secondo piano delle Scuderie del Quirinale al Raffaello prodigio del periodo fiorentino, quando impara nelle botteghe dei grandi artisti e subito si impone e fa le scarpe a Michelangelo e Leonardo, rubandogli il posto nell’Olimpo di Roma tra i pittori più amati – pagati – dai grandi papi. Dopo le Madonne e gli arazzi è proprio il Raffaello degli esordi che più emoziona, soprattutto nei cartoni preparatori in cui la sua mano divina traccia figure a matita che sono ancora più belle del quadro definitivo, che sarà comunque un capolavoro di equilibrio e colori. È il caso della “Madonna dei Tempi”, dal museo di Monaco, che pochi hanno visto e che appare in tutta la sua gioiosa meraviglia nella mostra di Roma, ma la cui bellezza è quasi oscurata dalla poetica meraviglia della mamma che schiaccia il bambino a sé, come farebbe una popolana non una madonna, che appare nel prodigioso cartone preparatorio a fianco.
O la meravigliosa Fornarina, e la sua amica velata, non più Madonne ma popolane forse amanti cui Raffaello ha dato il ruolo di Afrodite. Meraviglioso il piccolissimo quadro del Sogno del cavaliere, affascinante la Santa Caterina d’Alessandria in estasi che nel cartone preparatorio è molto più estasiata che nel quadro vero.
Mai forse si era vista tanta bellezza dovuta a una sola, per quanto divina, mano messa assieme in un unico luogo, neanche la stupenda mostra del Caravaggio, era arrivata a tanto. Realizzare questa mostra con prestiti dei capolavori da musei e collezioni di ogni parte del mondo, alcuni come gli arazzi e alcune teste di musei provenienti addirittura dalla collezione privata della regina d’Inghilterra, per stessa dichiarazione degli allestitori è stato “un miracolo”. Un peccato, sicuramente, è non vederla.