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La crisi come shock benefico. I consigli del prof. Malinconico per la ripartenza

Di Carlo Malinconico

Certo non è ora il tempo delle polemiche. Ma è altrettanto vero che bisogna da subito creare le condizioni per la ripartenza del nostro Paese. E per farlo occorre avere obiettivi scelti con lucidità, perché stiamo affrontando una sfida senza precedenti e le risorse non sono infinite. Le priorità che il Paese si trova davanti sembrano essere le seguenti: rapporti con l’Europa, utilizzazione del debito pubblico, scelta degli investimenti da effettuare, interventi urgenti sull’operatività della Pubblica amministrazione.

In premessa, alcune semplici considerazioni. Dobbiamo dircelo con sincerità: il nostro Paese non ha fatto le riforme necessarie per resistere a qualunque forma di crisi, specie internazionale. Ormai da tempo l’Ocse ci aveva avvertito che nelle crisi internazionali sopravvivono i Paesi che hanno una struttura agile, perché solo questi ultimi possono adattarsi al mutamento delle condizioni finanziarie ed economiche (il Messico insegna…).

La nostra regolazione dell’attività economica è rimasta ancorata al passato; molte sono le attività soggette a concessione o ad autorizzazione e i procedimenti amministrativi sono molto lunghi e complessi, nonostante i tentativi di riforma. La stessa normativa emergenziale dovuta all’epidemia del Covid-19, volta a chiudere le attività non essenziali, ha finito per dimostrare i suoi limiti, proprio perché il ricorso ai codici Ateco impedisce la riconversione, nel breve termine, ad attività economiche e non interessate dal lockdown. È solo un esempio.

Ma iniziamo dall’Europa. Bisogna riconoscere che, anche in questo frangente, non è mancata l’Europa e, perché sia la Commissione Ue sia la Banca centrale europea, pur dopo iniziali passi falsi, sono intervenute per affrontare la crisi straordinaria. La commissione europea, con la deroga al vincolo del Fiscal compact, e la Bce, con l’apertura ad un rinnovato quantitative easing, hanno dimostrato che le istituzioni comunitarie sono le uniche che possono resistere agli egoismi dei singoli stati. Sono mancati, invece, come al solito, gli Stati
membri che, nel Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, non hanno mostrato alcuna capacità decisionale e neppure una classe politica di statura adeguata alla crisi in atto. È sulle istituzioni comunitarie e non sull’unanime volontà degli Stati membri che possiamo e dobbiamo contare. Non si può che condividere l’opinione espressa recentemente da Enrico Cisnetto su “Terza Repubblica”: occorre negoziare, negoziare, negoziare. Trovando tatticamente le necessarie alleanze.

Dunque, una delle priorità è quella di una politica internazionale e soprattutto nei confronti dell’Unione europea, ben meditata e portata avanti da negoziatori di primo ordine: ne abbiamo. L’idea di coronavirus bond va ulteriormente propugnata, per evitare che – puntando esclusivamente sull’ampliamento del debito nazionale – i nostri titoli pubblici diventano ben presto incommerciabili. È altrettanto vero che difficilmente otterremmo questo vantaggio senza cedere, a nostra volta, qualcosa: come suggerito da Mario Monti in un recente articolo sul Corriere della Sera, occorre rassicurare i nostri partner europei che non sarà scaricato su di loro il peso del nostro debito pubblico. Occorre, dunque, prevedere un tetto all’emissione di detti Bond ed immaginare, come propone sempre Enrico Cisnetto, di centralizzare l’utilizzazione delle risorse provenienti da tale indebitamento europeo, quanto meno alla Commissione europea. Occorrono cioè, precise garanzie, che non siano quelle dell’attuale Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), che obiettivamente pone delle condizioni (le “condizionalità”), che a tutti – ora – appaiono un capestro.

Altra priorità: come utilizzare il debito pubblico. Ci è stata data la possibilità di non rispettare i vincoli del 60% e del 3% sul prodotto interno lordo, rispettivamente per il debito pubblico e per il deficit. Paradossalmente, questa maggiore elasticità comporta una responsabilità molto maggiore, soprattutto nei confronti delle future generazioni di italiani. Occorre che questo surplus di debito pubblico sia utilizzato al meglio e non per le spese improduttive. Il rischio è che manchi un criterio razionale di distribuzione delle risorse e una politica industriale capace di sostenere la ripresa.

Anche a questo proposito, solo qualche suggerimento. Innanzitutto, occorre immettere nel circuito finanziario-economico le risorse necessarie e già presenti, senza bisogno del ricorso al debito pubblico. Occorre, però, una politica industriale, aliena da ideologiche contrarietà ad investimenti e all’impresa. Se è condivisibile la previsione di un reddito di cittadinanza, solo la creazione di imprese e la salute di quelle esistenti può garantire nuovi posti di lavoro, cui decisamente occorre puntare. All’interno di questa cornice, le priorità sono le infrastrutture, anche tecnologiche come la banda larga.

Occorre, poi, con urgenza avviare tutti i cantieri, e sono molti, per i quali già ci sono gli stanziamenti necessari. E occorre, poi, che la Pubblica amministrazione paghi i debiti in tempi brevissimi, come d’altra parte impostoci dalla legislazione europea che noi non rispettiamo. Occorre, inoltre, centralizzare e utilizzare da subito i fondi europei.

Più volte sì è citata la centralità della Pubblica amministrazione. Occorre un sistema amministrativo e burocratico molto più agile e veloce per evitare che le crisi internazionali, di qualunque genere, comportino crisi economiche e sociali insostenibili. La liberalizzazione delle attività economiche, anche se perseguita in passato con schemi e condivisibili e, non ha dato esito sostanziale, vuoi per un fatto culturale, vuoi per l’indeterminatezza delle previsioni legislative.

Occorre superare l’attuale deriva nella quale i pubblici funzionari sono, sempre più portati alla deresponsabilizzazione: piuttosto che fare, meglio non fare e non assumersi responsabilità. Nel nostro Paese prevale ormai la cultura della caccia al responsabile invece che quella che incoraggia la soluzione dei problemi. Anche questo è un fatto di cultura, ma certo gli eccessi di una parte della magistratura, penale e
contabile, hanno accentuato questa deriva. In generale, occorre un’amministrazione onesta, capace e competente, che non sia a intimorita dall’assunzione delle responsabilità. I pubblici funzionari sono, per la Costituzione, al servizio della nazione e devono essere tutelati del prestigio e nell’assunzione delle responsabilità. Occorre, dunque, introdurre o reintrodurre strumenti di garanzia che li proteggano da facili interventi, talora sconsiderati, della magistratura penale e contabile, rivedendo il reato d’abuso d’ufficio, accentrando la competenza al più alto livello degli uffici inquirenti e rivitalizzando gli istituti della responsabilità disciplinare. Il pubblico funzionario, salvo i casi di dolo, non deve avere timore di assumere responsabilità. La nostra giustizia a quel limite che, internazionalmente, è conosciuto come unpredictability. Non è proprio la situazione migliore per attirare investimenti esteri.

Inutile pensare a riforme costituzionali, che pure sarebbero necessarie, come la riforma del titolo V della Costituzione, di cui ora, nel coordinamento tra Stato regioni, si lamenta la mancanza di funzionalità. I disegni di legge di revisione della costituzione sono stati sempre respinti negli ultimi tempi dal corpo elettorale. Non abbiamo d’altra parte tempo per immaginare riforme costituzionali che tempo non essere condivise da una larga parte dell’opinione pubblica e dei partiti.

Occorre, dunque, muovere da esempi virtuosi proprio della legislazione dell’emergenza. Si parla, insistentemente, di un “modello Genova”. In quel modello si è fatto ricorso al sistema delle deroghe alla legislazione vigente in materia di appalti. Troppo facile, naturalmente, sarebbe osservare che è inutile fare leggi che non sono utilizzabili proprio quando serve. Ma questa sarebbe sterile polemica.

Bisognerebbe individuare attività decisive per la ripartenza (una specie di “legge obiettivo” già sperimentata in passato) e per quelle procedere con la nomina di commissari ad acta, che agiscano in deroga alle disposizioni ordinarie, salve le direttive comunitarie, la Costituzione e norme penali.

E poi, certo, è questione di uomini. L’Italia ha le competenze per affrontare la sfida della rinascita: le usi e usi gli uomini più adatti a governare questo processo. Comunque la si voglia mettere, la rilevanza dell’editoriale di Mario Draghi al Financial Times è significativa. Difficile trovare in Europa qualcuno che possa contestare le sue affermazioni: l’autorevolezza della personalità e la conoscenza dei meccanismi finanziari europei e dei Paesi membri rendono arduo contrapporsi alle sue affermazioni. È a lui che dobbiamo ispirarci.

Dobbiamo fare leva, e l’invito è rivolto alle forze politiche nelle nomine di loro competenza, su personalità che, all’interno del nostro Paese ma anche in Europa, abbiano la statura tale per essere ascoltati e per essere credibili. L’Italia può certo rinascere, anche partendo dall’attuale situazione di crisi, purché utilizzi quest’ultima come uno shock benefico per il nostro Paese e in definitiva anche per l’Europa.


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