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Buttigieg lascia. Ecco perché il Super Martedì sarà nevralgico per i Dem

Un abbandono eccellente, alla vigilia del Super Martedì: Pete Buttigieg lascia la corsa alla nomination democratica. Buttigieg, ex sindaco di South Bend nell’Indiana, omosessuale dichiarato, ha annunciato la decisione di uscire di scena, dopo non avere ottenuto nel New Hampshire, in Nevada e in South Carolina risultati confrontabili con il successo conseguito nello Iowa.

Buttigieg, 38 anni, il ‘nipote d’America’, com’era stato chiamato, contrapponendolo ai tanti ‘nonni’ di questa campagna, è politicamente un centrista.

Senza Burrigieg, occhi ugualmente puntati sul 3 marzo, data chiave delle primarie democratiche: vanno al voto domani 14 Stati (Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont, Virginia), oltre alle Isole Samoa e alla constituency dei Democrats Abroad. Saranno distribuiti in un giorno solo 1.344 delegati, oltre un terzo del totale, contro i 167 assegnati in tutto il mese di febbraio tra Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina (circa il 4% del totale).

I pronostici sono favorevoli a Bernie Sanders, che in termini di voto popolare ha vinto le prime tre competizioni, cedendo solo sabato nella South Carolina a Joe Biden. In termini di delegati, Sanders ne ha 56, Biden 48, Pete Buttigieg 24, Elizabeth Warren 8, Amy Klobuchar 7.

Sanders guida o è ben piazzato i sondaggi in 14 delle 16 primarie del Super Martedì. Il senatore è avanti, in particolare, in California e in Texas, i due Stati più popolosi e quindi col maggior numero di delegati, ma anche in Virginia e nel Massachusetts, lo stato della senatrice Warren, che gli contende il voto di sinistra.

Ma i sondaggi si sono spesso dimostrati, in queste settimane, scarsamente affidabili. E sul 3 marzo grava l’incognita di Mike Bloomberg, all’esordio sulle schede delle primarie – il miliardario ha infatti ‘saltato’ le competizioni di febbraio -.

Anche la conta dei soldi in cassa ai candidati non è un indicatore affidabilissimo, perché Bloomberg spende di tasca sua. Sanders ha raccolto 45 milioni di dollari in febbraio, con un numero di donatori estremamente elevato; pure la Warren, che nei dibattiti è andata meglio che alle urne, ha fatto bene, 29 milioni di dollari. Biden ha invece raccolto circa 18 milioni di dollari in febbraio, di cui cinque dopo la vittoria di sabato nella primarie in South Carolina, che ha evidentemente ricreato fiducia intorno alla sua candidatura.

L’ex vice-presidente di Barack Obama continua a ricevere endorsement influenti sul voto dei neri, decisivi a suo favore nella South Carolina: domenica, ha incassato quello di Darrio Melton, sindaco di Selma (Alabama), la città delle marce del 1965 che fecero storia nel movimento per i diritti civili degli afro-americani negli Usa.

Tra le primarie di febbraio e il Super Martedì, Donald Trump è stato molto attivo sui social, congratulandosi con ‘Sleepy Joe’ alla prima vittoria e prendendosela con i colleghi miliardari Bloomberg e Tom Steyer (ritiratosi). Il tutto condito dalla solita solfa ‘pro Biden’: “I democratici stanno lavorando duro per distruggere il nome e la reputazione del pazzo Bernie e strappargli la nomination”, che a lui sarebbe gradita in quanto lo considera un avversario facile da battere nell’Election Day.

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