L’uomo non è soltanto somiglianza (…) di Dio, Fonte, Inizio, Sorgente, Causa (equivalenti omeomorfici), ma anche immagine (…) della Realtà, un mikrokosmos, come dicevano gli antichi (fino a Paracelso e ai seguaci della “philosophia adepta”), che rispecchia il completo makrokosmos. (Raimon Panikkar, Vita e Parola. La mia Opera, Jaca Book, Milano 2010, p. 11)
Il nostro percorso di ricerca guarda alla necessità, per noi umani del terzo millennio, di (ri)trovarci in un legame (vincolo e possibilità) nel sentimento della storia. Prosaici e poetici, lucebuio, è bene guardar(ci) dentro, nel profondo della nostra complessa – e sfuggente – esperienza umana, per (ri)scoprirne l’oltre, il mistero istituente.
Così notano Gerald Hall e Joan Hendriks (2009): Richiamandoci al teologo tedesco Karl Rahner, la conoscenza più profonda che abbiamo come esseri umani non è la “consapevolezza di qualche oggetto al di là di noi stessi, bensì una conoscenza partecipativa” che ha una propria intelligenza profonda, pratica e “salva-vita” (1).
Dovremmo “attraversare” la storia, cogliendone l’elemento religioso, quello che (ri)lega ciò che è disperso. Non c’è separazione possibile fra tutte le dinamiche dell’umano e del reale globalmente inteso. Ciò che noi separiamo prosaicamente è, in realtà, inseparabile poeticamente.
Ciò che ci interessa, mirabilmente espresso da Hall e Hendriks (2009) (2) con riferimento ai popoli aborigeni, è un senso cosmologico o metafisico più ampio delle cose, che va al di là delle parole (e del tempo) o (…) che collega gli eventi ritmici agli Eventi Permanenti. Questo è un punto decisivo: in quel senso, infatti, c’è la vita-della-vita, vive il nostro mistero istituente, ciò che chiamiamo “comune” (3). Panikkar parla di intuizione cosmoteandrica (4).
Al di là dell’apparente difficoltà dell’espressione, intuizione cosmoteandrica siamo noi. Se ogni essere umano non apre la porta di questa dimensione, l’unica che può portarlo verso la pienezza senza mai raggiungerla, il nostro destino rimarrà quello di turisti della vita e non diventerà quello di navigatori in essa. Pur essendo noi lucebuio, impossibilitati a compiere la pienezza in ogni nostra esperienza di vita, è nell’oltre, porta aperta verso la pienezza, che possiamo (ri)trovarci in relazione (re)ligiosa, abitanti-nella-totalità che ci appartiene e che ci supera. La vita è relazione, la vita è (re)ligione.
Come anche in Morin, la relazione trinitaria è fondamentale nella intuizione cosmoteandrica, a-duale (5), di Panikkar. Scrive Francis X. D’Sa (2009) del presupposto che l’autentico misticismo venga vissuto concretamente quando si coltiva la sensibilità alla triplice dinamica della realtà (6). Sinonimi di visione mistica potrebbero essere pensiero complesso, critico, poetico, d’intelligence. Del guardare nel profondo per accogliere l’oltre. Nel criticare il genio di Descartes, Panikkar (2010) scrive che senza il correttivo della mistica riduciamo l’uomo a un bipede razionale, quando non razionalista, e la vita umana alla supremazia della ragione (7). La mistica autentica, sottolinea ancora Panikkar (2010), quindi non disumanizza. Ci fa vedere che la nostra umanità è qualcosa di più (e non di meno) della pura razionalità (8).
L’intuizione cosmoteandrica ci porta in una vera e propria metamorfosi-di-noi. Con tale intuizione, infatti, siamo nel profondo dell’inter-in-dipendenza di esseri umani che, come nota Francis X. D’Sa (2009), dal punto di vista relazionale (…) partecipano (…) alla perichoresis cosmoteandrica. (…) non sono mai né totalmente indipendenti né completamente dipendenti (9).
Ecco il mistero del comune, di quel percorso profondo, che, al contempo, ci lega (ci vincola) e ci libera “in” e “con” (aprendoci alle possibilità, dischiudendo le potenzialità).
Il mistero del comune è la Vita stessa come relazione ed è nella vita in cui ne facciamo, ciascuno, originale esperienza (mai solo per il “nostro” sé) (10). L’esperienza della Vita, dice Panikkar (2010), non è la coscienza del passare del tempo. Ciò di cui si fa esperienza è l’istante della tempiternità. L’esperienza non si misura col tempo (11).
Altresì, sottolinea Panikkar (2010), l’esperienza della Vita è l’unione più o meno armonica delle tre coscienze prima che l’intelletto le distingua. Questa esperienza sembra mostrare una complessità speciale – che chiamerei trinitaria (12). Ed è una esperienza che noi viviamo nel nostro essere limitati, compresi in essa e da essa superati. Ed è una complessità, nel significato stesso della parola, non separabile (13).
NOTE
(1) Gerald Hall e Joan Hendriks, Il misticismo naturale nelle tradizioni indigene australiane in AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 27. In nota, gli Autori scrivono: Questo è, per Rahner, in effetti, il cammino verso la conoscenza di Dio e del mistero divino, ossia la via che porta il conoscente umano alla comprensione non-oggettiva di sé e dell’Essere infinito. , ad esempio, Karl Rahner, Foundations of Christian Faith (New York, Seabury Press, 1978; ed. originale tedesca, 1976), pp. 51-71. Panikkar, com’è noto, parla a questo proposito di “consapevolezza mistica” o “coscienza trans-storica”: “E’ una consapevolezza che scalza il tempo o, piuttosto, che raggiunge la pienezza del tempo, visto che I tre tempi vengono esperiti simultaneamente”. The Cosmotheandric Experience, pp. 132ss.
(2) Gerald Hall e Joan Hendriks, op. cit. 2009, p. 27
(3) Gerald Hall e Joan Hendriks, op. cit. 2009, p. 29: Vi è un senso del tutto che comprende la realtà sacra della terra o del territorio ed è la consapevolezza che la comunità umana è essa stessa dipendente dal nostro comune legame con il luogo. Non è un legame che possiede il luogo ma che lo rende comune, dunque aperto (globale). Potrebbe trattarsi, notiamo, anche dell’altra faccia della nostra responsabilità verso la creazione che siamo (anche) noi, parte-di-tutto.
(4) Francis X. D’Sa, SJ, Jnanesvara e Panikkar. Misticismo nello Jnanesvari e l’intuizione cosmoteandrica in AA.VV., I mistici nelle grandi tradizioni, op. cit. 2009, p. 31: Quando introdusse inizialmente la sua ormai nota intuizione cosmoteandrica, Panikkar sottolineò che non stava proponendo nulla di nuovo: “La visione cosmoteandrica può essere considerata la forma originaria e primordiale di coscienza. In effetti, essa balenava fin dagli albori della coscienza umana come visione indivisa della totalità” (R. Panikkar, “Colligite Fragmenta. For an Integration of Reality”, in F.A. Eigo e S.E. Fittipaldi (a cura di), From Alienation to At-one-ness (Villanova PA, The Villanova University Press, 1977), p. 55. Altrove egli ha scritto: “Intendo dire che questa visione è sempre stata con noi e ha sempre assolto alla funzione del saggio di ricordare ai contemporanei la totalità, preservandoli così dal rimanere abbagliati da intuizioni illuminanti ma parziali” (R. Panikkar, “Colligite Fragmenta”, cit., p. 57.
(5) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 35: Dio, il Mondo e l’Uomo non sono tre realtà distinte ma concorrono a formare la realtà in modo a-duale. (…) Ricorrendo a un’analogia possiamo dire che la relazione con il Mondo è centrifuga, la relazione con l’Uomo è centripeta e la relazione con il Divino è orbitale. Le tre forze sono interrelate e interdipendenti. Non si può comprendere nessuna di esse senza le altre due.
(6) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 33. Nota l’Autore, op. cit. 2009, pp. 34 e 35: (…) suggerisco che l’autentico misticismo sia caratterizzato dall’apertura e dalla sensibilità alla triplice dinamica della realtà. In tale prospettiva il mistico è colui che scopre l’unità di Uomo, Cosmo e Divino. (…) L’atteggiamento mistico: a) non reifica la dimensione cosmica; b) non riduce l’Uomo soltanto a un “essere umano” che costitutivamente resta irrelato con il Cosmico e il Divino; c) non crede neppure in un Dio che non abbia nulla a che fare con il Cosmo o con l’Uomo. Nota ancora l’Autore, op. cit. 2009, p. 42: La pratica della spiritualità cosmoteandrica conduce al misticismo. Nel nostro contesto il termine “misticismo” è riferito all’esperire attivamente la triplice dimensione della realtà e dell’agire spontaneamente in sintonia con essa.
(7) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 12. L’Autore, op. cit. 2010, p. 12 nota, inoltre, che la mistica non è un privilegio di pochi prescelti, ma la caratteristica umana per eccellenza. Aggiunge l’Autore, op. cit. 2010, p. 16: L’esperienza mistica sarebbe quella che ci permette di godere pienamente della Vita. “Philosophus semper est laetus” (“Il filosofo è sempre lieto”), scrisse il mistico Ramon Llull. (…) La fede è “la gioia della Vita”, non esita a dire il (…) martire Giustino.
(8) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 13
(9) Francis X. D’Sa, op. cit. 2009, p. 36
(10) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, pp. 15 e 16: Quando dico esperienza della Vita non intendo l’esperienza della mia vita, ma della Vita, quella vita che non è mia benché sia in me; quella vita che, come dicono i Veda, non muore, che è infinita, che alcuni definirebbero divina: Vita, tuttavia, che si “sente” palpitare, o, per meglio dire, semplicemente vivere in noi. (…) L’esperienza della Vita (zoe), arriva a dire san Giustino nel II secolo, è l’esperienza del datore della vita – dato che la nostra vita non vive di per sé, ma partecipa della Vita.
(11) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 16
(12) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, p. 17
(13) Raimon Panikkar, op. cit. 2010, pp. 21 e 22: La debolezza (seppur accompagnata da molte grandezze) dell’Occidente moderno deriva dal secondo principio del metodo cartesiano: “Se vuoi risolvere un problema, comincia col sezionarlo …; ma poi succede come all’apprendita dell’orologiaio, al quale, nel ricomporre l’orologio, avanzano dei pezzi”. La frammentazione della realtà: ecco il punto debole della cultura occidentale.
(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)