“Sleepy Joe” si è risvegliato. Con il successo del Super Tuesday l’ex vicepresidente Joe Biden sembra ora il candidato dell’ala moderata del Partito democratico. Ce la farà contro il radicale Bernie Sanders? E se dovesse battere il senatore del Vermont, riuscirà a strappare la Casa Bianca al repubblicano Donald Trump? Formiche.net ne ha parlato con Antonio Funiciello, già capo dello staff di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, autore del libro “Il metodo Machiavelli” (Rizzoli) e grande esperto di politica statunitense.
Con questo successo Biden è sulla buona strada verso la nomination democratica?
“Sleepy Joe” si è svegliato. Chi lo conosce sa che è un grande lottatore, che nella vita ha condotto varie battaglie con fantasia, estro e capacità di pianificazione. È un uomo di partito, si sarebbe detto in altri tempi. Il modo in cui ha conseguito la vittoria nel Super Tuesday è il modo in cui può vincere le primarie democratiche, un prototipo che diventa un metodo.
Che cos’è il metodo Biden?
C’è stata triplice reazione al tentativo di sfondamento di Sanders: una reazione di leadership, una reazione di partito e una reazione di territorio, di un pezzo d’America molto importante, cioè il Sud. Con questo metodo può vincere le primarie, ma non le presidenziali.
Che cosa dovrà cambiare se dovesse conquistare la nomination?
Semplificando molto dobbiamo dare per assunto, ragionando per macro aree, che le coste resteranno democratiche e il Sud rimarrà repubblicano. La partita si giocherà nel Midwest. A partire dalla scelta del candidato vicepresidente tutto ciò che Biden farà dovrà essere finalizzato alla vittoria in Stati come Pennsylvania e Michigan. Lui ha caratteristiche che ben rispondono a un elettorato che possiamo definire più tradizionale. Ma non basta: in quelle aree si è registrato un cambiamento a livello economico che la leadership Trump ha intelligentemente interpretato.
Su Twitter lei ha fatto un podio di chi non ha vissuto un piacevole Super Tuseday. Al primo posto c’è Sanders. Come mai?
Sanders ha perso perché ha perso il suo metodo. Lui punta a sfondare nel Partito democratico e a sfondare il Partito democratico, che in molti Stati fatica e la cui regia federale è in grosse difficoltà da alcuni anni a questa parte. L’obiettivo di Sanders era dare il colpo di grazia al partito – anche se lui dice cambiarlo – e ristrutturarlo attorno alla sua leadership. Ma questo tentativo è fallito e penso che quanto registrato nel Super Tuesday lo vedremo in altri Stati come per esempio la Florida.
Il presidente Trump è il secondo sconfitto?
Parte in vantaggio alla presidenza ma non c’è dubbio che se dovesse trovarsi davanti Sanders avrebbe più frecce nel suo arco. Un candidato come Biden potrebbe tenere unito l’elettorato democratico più di quanto non potrebbe fare Sanders. In particolare negli Stati chiave del Midwest.
Al terzo posto tra gli sconfitti di questa notte lei colloca Alexandria Ocasio-Cortez. Perché?
Lei è la grande alleata di Sanders, al quale ha portato in queste primarie i voti dei latini, un pezzo di elettorato con il quale il senatore del Vermont la volta scorsa aveva molto arrancato. Li unisce il desiderio di rivoltare il Partito democratico come un calzino. Tanto che solo pochi giorni fa Ocasio-Cortez aveva detto che il grande problema del partito è che c’è troppa gente di destra, che va cacciata. Ma il responso di questo Super Tuesday non va nella direzione di un cambiamento genetico del partito e ridimensiona le sue aspirazioni di diventare un riferimento a livello nazionale.
A proposito di gente spesso accusata di non essere un vero democratico. Come mai Michael Bloomberg è rimasto giù dal podio?
Semplicemente perché non ho mai creduto nella sua candidatura. Le elezioni da un po’ di tempo non si vincono né a sinistra né al centro. Si vincono aggregando tutto il tuo elettorato di riferimento, che è ampio e contraddittorio. Perché, piaccia o no a Ocasio-Cortez, Partito democratico e Partito repubblicano sono due grandi tende che tengono dentro cose molto diverse – questa è la grande storia degli Stati Uniti d’America. Vince chi è capace a tenere uniti i suoi. E Bloomberg, considerato dagli americani un repubblicano – non dimentichiamo che è diventato sindaco di New York sconfiggendo un democratico per tre volte, seppur se la terza presentandosi da indipendente e non da repubblicano come le prime due -, non può avere alcuna chance. Le sue primarie dimostrano che l’idea che con i soldi compri la presidenza è una enorme sciocchezza.
È finita anche per la Warren?
Penso si sia spostata un po’ troppo a sinistra anche rispetto alla sua storia politica. È una donna di grandi capacità, per questo andrà avanti verso la convention puntando a diventare ministro se i democratici dovessero riuscire nella grande impresa di togliere la Casa Bianca a Trump.
Grande impresa?
A parte il caso particolare di Richard Nixon che si dimise, nella storia recente è capitato una sola volta che un presidente repubblicano non abbia centrato il secondo mandato ed è capitato perché c’era un terzo candidato, Ross Perot, cioè l’evento che ha prodotto l’occasione per il ribaltone di Bill Clinton.
L’elettorato premia quindi la continuità.
Esatto. E per altro c’è il tema coronavirus, vedremo che effetto avrà sulla campagna elettorale sperando non diventi una grande emergenza. Gli Stati Uniti, non avendo un sistema sanitario nazionale, potrebbero fare un po’ più di fatica. Però potrebbe anche rappresentare un punto di forza per Trump: gli americani non cambiano presidente durante un’emergenza.
Un vice per Biden potrebbe essere Pete Buttigieg?
No. Queste primarie hanno tirato fuori dei politici interessanti, anche giovani. Buttigieg però deve prima fare il deputato, il senatore o il governatore e crescere. È stato molto intelligente a essere il primo a chiamarsi fuori e giocare di squadra.
Meglio una carica elettiva che ministro?
Lui deve vincere una elezione. I democratici devono recuperare il gusto di vincere un’elezione. Guardiamo al fenomeno Sanders, alla cui base c’è la sua forza elettorale: seppur in un piccolo Stato, lui è stato capace di vincere nettamente e di unire l’elettorato. E questo gli ha permesso i risultati del 2016 e di queste primarie.