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Tracce di pensiero globale

(…) un’evoluzione è sempre una distruzione di qualche cosa e una creazione di qualche cosa (Edgar Morin, 7 lezioni sul pensiero globale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 48)

Viviamo l’inizio di un inizio (Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 114)

 

Elementi di giudizio

Nel guardare nell’oltre, le devianze sono fondamentali. Scrive Morin (2016): Nella storia umana c’è un processo che è più o meno lo stesso di quello che c’è nella storia biologica. Compare una devianza che, qualora si consolidi e si sviluppi, diventa una tendenza, e questa tendenza diventa una forza storica, una forza creativa, una forza decisiva nel processo evolutivo (1).

Dunque, non tutto ciò che non è conforme a ciò che è stabilito e normativizzato è da considerare negativamente. Anzi. Il pensiero globale, quello di cui abbiamo bisogno per percorrere l’oltre, ci chiama a un (ri)pensamento del nostro pensiero, a una sua (ri)fondazione-in-metamorfosi. Linearità/certezza/causalità/prevedibilità/individualismo/sviluppo/competizione/mondializzazione/valore quantitativo (recto della medaglia) e complessità/incertezza/caso/(im)prevedibilità/altruismo- solidarietà/inviluppo/cooperazione/demondializzazione/valore qualitativo (verso della medaglia). Ambivalenza a-duale, dunque, (com)presenza degli antagonismi nella stessa realtà complessa (2). Non più o/o ma e/e, unità nella diversità e diversità nell’unità.

Rischiamo, vivendo. E il rischio fa parte di noi. Non vi è dubbio che vi siano rischi evidenti negli aspetti negativi della mondializzazione. Morin (2016), con lucidità, ci ricorda la perdita del passato, la tendenza a vivere sempre nell’immediato (…). Senza contare la perdita del futuro. Il mondo ha smesso di credere che il progresso sia una legge ineluttabile, necessaria e feconda della storia. Ormai, c’è l’incertezza del futuro (3).

Questo passo di Morin ci interessa molto perché il ripensamento del progresso ci mette di fronte a una infinità di progressi e di controprogressi. L’incertezza, cifra del nostro vivere, si trasforma sempre più spesso in insicurezza, qualcosa che ci rende ancora più fragili di quanto già non siamo rispetto ai fenomeni planetari e che si diffonde nelle nostre convivenze come un virus della paura, del distacco e del bisogno (talvolta ossessivo) di barriere protettive. Si alza il livello dell’immunitas cosicché la nostra naturale tensione (anche bisogno) di difenderci si trasforma pericolosamente nella creazione/caccia di nemici oggettivi e possibili.

Una riflessione s’impone sulla crisi, che definiamo de-generativa, della civiltà occidentale. Scrive Morin (2016): Diffondendosi ovunque, la civiltà occidentale mette le civiltà tradizionali, e ancor più le civiltà arcaiche, in una crisi terribile. Il paradosso è che la civiltà occidentale, a sua volta in crisi, si presenta ai paesi in via di sviluppo come la guarigione, mentre porta in sé la malattia (4).

Nella interrelazione sistemica che caratterizza il mondo, ogni crisi particolare, territoriale, locale, diventa planetaria. Non esistono sistemi chiusi. Quando le civiltà, processi complessi, entrano in crisi de-generativa (cioè quando non riescono più a essere generative in termini di costruzione del futuro) il rischio è che contaminino indiscriminatamente, come sta accadendo per quella occidentale in giro per il mondo, senza fecondare. La civiltà occidentale, prima di tutto, sta mostrando al suo interno elementi di grande criticità a cominciare dalle crescenti difficoltà di coesione sociale, dall’incremento – a livello dei sistemi Paese e globale – delle diseguaglianze non solo di reddito ma anche nell’accesso alla salute, dall’erosione delle classi medie e dei corpi intermedi, dallo “svuotamento” delle democrazie rappresentative.

Ben considerando che non solo la civiltà occidentale vive una crisi de-generativa, Morin (2016) si domanda se sia possibile cambiare via. E risponde: Nessun indice ci indica questa possibilità di cambiamento, nonostante l’esistenza di iniziative innovatrici, che rimangono tuttavia disperse ed embrionali (5).

Metamorfosi

Parola-chiave, metamorfosi significa che non c’è rottura totale con il passato: al contrario si utilizza l’esperienza culturale della storia passata dell’umanità, dice Morin (2016) (6).

In un pensiero globale, nel passaggio di era, il talento della metamorfosi riguarda il portare ciò che siamo nell’oltre, il (ri)congiungerci nell’oltre che già ci percorre ma che vive nella parte ignota della nostra conoscenza, comunque limitata (7). In metamorfosi, dunque, entriamo nell’oltre-di-noi. La metamorfosi non è né lineare né neutra (8) ed è anche ritorno (l’oltre non si appiattisce sul futuro), trasformazione di ciò che siamo nella tempiternità (9).

La metamorfosi non riguarda solo i singoli esseri umani ma anche ciò che da ciascuno di essi genera. Riguarda i sistemi valoriali, culturali, politici, istituzionali, economici, giuridici. Riguarda la natura e le forme della convivenza. E sono tutte metamorfosi interrelate: l’una dà senso all’altra, l’una dà significato all’altra. Questa metamorfosi della totalità è ciò che chiamiamo progetto di civiltà (e non di una civiltà). Questa metaformosi non è finalizzata a “costituire” un ordine certo bensì a comprendere, per (com)prendere, le dinamiche storiche in funzione di una loro sintesi continua.

Su questo punto si può cominciare a costruire una “piattaforma” di lavoro rispetto a un pensiero globale che, come nota Morin (2016), si cali nelle interazioni, retroazioni, interferenze (10). Solo (ri)convertendoci nel senso della metamorfosi, necessaria in funzione dell’ (in)atteso/(im)probabile/(im)prevedibile (ciò che vive nel profondo dell’atteso/ probabile/prevedibile), possiamo dirci globali. Il tema, come già detto, è (ri)congiungerci nell’oltre.

Partiamo da ciò-che-è. Si ritiene necessario abbandonare, come scrive Morin (2016), ogni idea razionalizzatrice, stabilizzatrice o lineare del futuro (11). A cominciare, crediamo, dal (ri)pensamento dei nostri Paradigmi Ordinatori (12).

Un interessante punto di partenza, in questo nostro viaggio nella metamorfosi della totalità (e delle metamoforsi), è segnato da Morin (2016): La metamorfosi biologica, tecnica e informatica richiede soprattutto di essere accompagnata, regolata, controllata, guidata da una metamorfosi etica, culturale e sociale. È tragico che la metamorfosi transumana sia cominciata sotto la spinta del triplice motore scientifico/tecnico/economico, mentre la metamorfosi etica/culturale/sociale, sempre più indispensabile, è ancora nel Limbo (13).

NOTE

(1) Edgar Morin, op. cit. 2016, pp. 48 e 49. Nota ancora l’Autore (op. cit. 2016, p. 51): La storia avanza di traverso come un granchio, progredisce sempre attraverso rami devianti.

(2) Fin da quella che Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (Origini di storie, Feltrinelli, Milano 2006, p. 39) chiamano “la storia prima della storia”, due simboli (…) sono particolarmente importanti, perché onnipresenti in tutto lo spazio culturale che va dall’Europa antica all’India preariana, attraverso l’Anatolia e la Mesopotamia sumerica e protosemitica. Sono la spirale e la doppia elica. (…) La doppia elica è il simbolo dell’intreccio delle dualità. È un simbolo dinergico, secondo il termine coniato da Gyorgy Doczi per indicare il potere generativo degli opposti complementari. Mostra come l’unità, trasformandosi in dualità, raggiunge una nuova e più profonda unità. Esprime l’equilibrio attivo e la relazione creatrice che intercorre fra due canali energetici differenti, e tuttavia interconnessi in ogni istante del loro percorso. Notano ancora gli Autori (op. cit. 2006, pp. 53 e 54): Le civiltà del pianeta, passate e presenti, sono in gran parte impregnate di miti, di simboli, di riti che riconoscono come la vita sorga e sia alimentata dall’incessante legame fra il regno della Madre e il regno del Padre, fra la Terra femminile e il Cielo maschile. Esprimono una cosmologia dinergica dell’armonia e dell’integrazione delle dualità, secondo la quale ogni aspetto del mondo rivela una polarità che rimanda a un’altra polarità. Questo orizzonte dinergico è inscritto nell’immagine dell’uovo: il simbolo di ciò che è latente e potenziale, della germinazione, della trasformazione, del mistero che antecede l’Essere. È inscritto nelle azioni di Eros, la forza che mette in movimento il Cielo e la Terra e che è il movimento del Cielo e della Terra. È inscritto nelle stesse rappresentazioni simboliche degli dèi che regnavano nei tempi remoti. Kronos/Saturno e Hermes/Mercurio conoscono una rappresentazione andro-gina e erm-afrodita, che evidenzia l’integrazione degli opposti, l’intimo intreccio di uomini e di donne, di dèi e di dee, di nomadi e di agricoltori, del Cielo e della Terra. E nel tempio rupestre di Siva a Elephanta viene adorato Siva Ardhanarisvara, “il Signore la cui Metà è Donna”.

(3) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 66. L’incertezza, intesa come (in)certezza, non è il contrario di certezza ma è ciò che vive nel suo profondo. Morin (op. cit. 2016, p. 108) scrive: Scopo del pensiero complesso non è distruggere l’incertezza, ma individuarla, riconoscerla, è evitare la credenza in una verità totale.

(4) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 67

(5) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 67

(6) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 71

(7) Edgar Morin, op. cit. 2016, pp. 82 e 83: Per il nostro futuro prossimo è necessario prendere coscienza non solo dei limiti della crescita, ma anche dei limiti della mente e in particolare dei limiti del nostro strumento di conoscenza meglio armato: la razionalità. Karl Popper ha mostrato i limiti dell’induzione, che consiste nel generalizzare a partire da un certo numero di fatti constatati in molteplici luoghi. Certo l’induzione è un modo di conoscenza molto utile, ma non è infallibile. Ai limiti dell’induzione bisogna aggiungere i limiti della deduzione, cioè i limiti della ragione più certa, come ha dimostrato il teorema di Godel. Il nostro migliore strumento di conoscenza, la ragione, è ristretto, così come è limitata la logica classica che chiamiamo aristotelica. A considerare razionalmente il mondo, si arriva a contraddizioni che la nostra logica non può superare. Il problema dei limiti è posto dagli avanzamenti della nostra conoscenza filosofica, epistemologica, ma la coscienza dei limiti è a sua volta limitata. Se la nostra razionalità è limitata, si può supporre che le attitudini non ancora sfruttate del cervello umano riveleranno dei poteri della mente ancora ignoti. L’uomo di Cro-Magnon ignorava di avere già il cervello di Aristotele, di Leonardo da Vinci, di Mozart e di Einstein. Noi ignoriamo i futuri poteri della mente. Ciò che si può dire è che avranno un limite: l’uomo non sarà né Dio né padrone del mondo, ma la sua avventura spirituale come la sua avventura antropologica è per noi inconcepibile. Ciò che è certo è che questa avventura non obbedisce alla pseudolegge del progresso che voleva che i progressi scientifici, tecnici o economici avrebbero assicurato un progresso umano nello stesso tempo sociale, intellettuale e morale. Ed è altrettanto certo che non accadrà la rivoluzione salvatrice promessa alla fine del XIX secolo.

(8) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 72: Come un parto, la metamorfosi si compie nel dolore. Tutta l’evoluzione è dunque un processo di creazione che crea distruzione.

(9) Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (op. cit. 2006, p. 52) notano che per la storia degli ultimi millenni del continente europeo, l’incontro fra noologia, linguistica storica, archeologia e genetica molecolare è stato decisivo. I risultati di tale incontro hanno già influenzato sensibilmente la nostra percezione del passato, del presente e del futuro. Sarà importante proseguire per la medesima strada. Nei miti e nei riti dell’intero pianeta sono ancora celati preziosi tesori, chiavi di accesso al passato e al futuro della specie umana.

(10 Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 86. L’Autore sottolinea (op. cit. 2016, p. 100): Ciò che penso è che la conoscenza di un tutto richiede non solo la conoscenza degli elementi che compongono questo tutto, ma anche la conoscenza delle azioni e delle retroazioni che continuamente ci sono fra le parti e il tutto quando questo tutto è attivo,, quando è vivo, quando è un tutto sociale, un tutto umano.

(11) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 85. E, aggiunge l’Autore (op. cit. 2016, p. 85), bisogna pensare oltre l’ottimismo e il pessimismo.

(12) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 112: Ritornare sulla conoscenza,, sulla sua fonte, sul soggetto conoscente, è un complemento necessario di ogni conoscenza, compresa quella globale. ciò che è centrale sono i principi a partire dai quali organizziamo il mondo che conosciamo: è ciò che si può definire il “paradigma” che guida i sistemi di conoscenza e di pensiero. Le nostre idee obbediscono a un paradigma di riduzione e di disgiunzione. Ne siamo inconsapevoli, ma questo è un paradigma che guida ogni nostro sistema di insegnamento, ogni nostro sistema di conoscenza e tutto il nostro sistema di pensiero, salvo eccezioni marginali. Quando si è sotto il governo di questo paradigma, si vedono tutte le cose separate e si vedono tutte le cose ridotte ai loro elementi più semplici. E si pensa che tutto ciò che contraddice questa visione sia pura chiacchiera, pura sciocchezza, pura follia. Siamo in un’epoca che ha bisogno di un cambiamento di paradigma, e ciò accade molto raramente nella storia. Si tratterebbe di sostituire la distinzione alla disgiunzione, la relianza alla riduzione: bisogna distinguere e, nello stesso tempo, legare. È il paradigma della complessità.

(13) Edgar Morin, op. cit. 2016, p. 97. Continua l’Autore, op. cit., p. 98: I nuovi poteri transumani saranno inumani se non saranno sotto il controllo di un’umanità rigenerata al meglio di se stessa.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)



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