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Gli Usa rubano i tamponi all’Italia? Ecco svelata la bufala

Un caso di Robin Hood al contrario? Dopo la pubblicità agli aerei cinesi che hanno portato aiuti all’Italia, sui media nostrani circola un’immagine di segno opposto. Almeno in apparenza. Ecco perché. 

Lunedì l’aeronautica statunitense ha trasportato “silenziosamente” mezzo milione di tamponi per individuare la positività dei pazienti al Covid-19 dalla base di Aviano, in provincia di Pordenone, a Memphis, in Tennesse. A rivelarlo è stata la testata militare Defense One che ha aggiornato il suo articolo dopo le conferme del Pentagono.

Nel nostro Paese sono scoppiate le polemiche. Per Francesco Vignarca di Rete per il disarmo “le basi statunitensi sul nostro territorio” servono per “recuperare materiale utile (per loro) durante una pandemia sottraendolo alle nostre necessità”.

Per Marco Rizzo, segretario del Partito comunista, si tratta addirittura di “imperialisti” che “derubano le nazioni assoggettate di materie prime”.

Polemiche che probabilmente sono state alimentate da quell’aggettivo, quietly, “silenziosamente” utilizzato da Defense One. Ma non si è trattato di un furto nel cuore della notte. A quanto risulta a Formiche.net, infatti, si è trattato del ritiro di un carico ordinato prima del caos scoppiato in questi ultimi giorni e compiuto alla luce del fatto che l’Italia abbia deciso di non bloccare le forniture.

L’azienda che produce i tamponi è la bresciana Copan che, come riportato alcuni giorni fa dal Corriere della Sera, ha ricevuto una richiesta da parte del presidente staunitense Donald Trump di una fornitura di tamponi da milioni di dollari. Alcune informazioni sul gruppo, che nel 2018 aveva registrato 146 milioni di ricavi (in crescita oltre dell’19% rispetto all’anno precedente), possono aiutarci a comprendere meglio la situazione senza cadere in tentazioni complottistiche e antimperialistiche (che, tra l’altro, di imperi non v’è più traccia da un po’). Copan è in grado di produrre 1,2 milioni di kit tampone ogni settimana; esporta il 90% della sua produzione, e lo fa in tutto il mondo; Europa e America come mercati di riferimento nonostante, visto il coronavirus, le consegne verso la Cina sono aumentate del 70%.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha voluto dare un segnale di vicinanza all’Italia nella sua ultima conferenza stampa spiegando di essere in contatto con l’ambasciatore a Roma Lewis Eisenberg. Ma ha anche evidenziato le responsabilità del Partito comunista cinese in questa emergenza (doveva condividere le informazioni “non solo per gli americani, gli italiani, i sudcoreani e gli iraniani che ora soffrono, ma anche per il suo stesso popolo”, ha detto Pompeo).

Fonti diplomatiche spiegano a Formiche.net che non si tratta semplicemente di affari. “Stiamo cercando di coinvolgere imprese e organizzazioni americane per avere aiuti immediati ma anche per pensare al futuro”. È la business diplomacy, e rischia di rivelarsi fondamentale nel futuro prossimo, quando i colossi farmaceutici americani decideranno di fare un passo indietro e riportare la produzione tra Stati Uniti ed Europa.

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