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Intelligence e magistratura, perché è necessario collaborare. Il caso Contrada

La vigilia di Natale del 1992 venne arrestato il (Capo del Reparto Operativo) del Sisde Bruno Contrada con la gravissima accusa di concorso esterno alla mafia. Dopo un tormentato iter giudiziario, nel 2007 fu condannato in via definitiva a dieci anni di reclusione.

Nel 2014 e nel 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano rispettivamente per non avere concesso gli arresti domiciliari pur ricorrendone i presupposti, e per avere condannato Contrada per un delitto che all’epoca dei fatti incriminati non era stato ancora previsto come tale dal legislatore.

Il dibattito sulla vicenda è ancora molto acceso, con posizioni spesso diametralmente opposte. Da un lato c’è chi sostiene che “Contrada è un traditore dello Stato” e dall’altro chi lo considera “il miglior poliziotto che Palermo abbia mai avuto”.

La vicenda è comunque inquietante e per molti aspetti anche rivelatrice delle tensioni tra magistratura e intelligence. Contrada per la magistratura italiana è colpevole in via definitiva. Bisogna allora chiedersi come sia stato possibile che sia giunto ai vertici della sicurezza dello Stato un uomo che per trent’anni garantì un “contributo sistematico e consapevole alla conservazione e al rafforzamento di Cosa nostra”.

Se Contrada fosse invece innocente (come sostiene l’interessato, insieme con decine di altri esponenti delle Forze di Polizia che pubblicamente testimoniarono durante i vari dibattimenti) sarebbe devastante constatare come l’azione giudiziaria provocata dalle dichiarazioni dei pentiti, e supportata dal convincimento di 39 magistrati con ruoli e in sedi differenti, abbia potuto “schiacciare” un leale servitore dello Stato.

Contrada fu incriminato e condannato per vicende relative all’epoca in cui non faceva parte dei Servizi, ai quali furono contestate “relazioni pericolose” nel corso del dibattito sviluppatosi sul caso. Legami criminali che in un certo senso si inquadrerebbero nell’ambito di quei “patti scellerati” che, in Italia come in tutto il mondo, da oltre duecento anni caratterizzerebbero i rapporti che si sono andati configurando tra classi dirigenti politiche ed economiche con la criminalità organizzata.

(Foto: archivio Radio Radicale)

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