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Perché temere l’influenza cinese. Parla Formentini (che ricorda Giovanni Paolo II)

Non dobbiamo dimenticare che la Cina è nelle mani di un Partito comunista. Per questo dovremmo rispolverare gli insegnamenti di San Giovanni Paolo II, che ha guidato la Chiesa e l’Occidente nella battaglia contro il comunismo dell’Unione Sovietica. A parlare con Formiche.net è Paolo Formentini, deputato della Lega e membro della commissione Esteri della Camera.

Un sondaggio Swg ha rivelato che secondo il 36% degli intervistati per sviluppare le proprie alleanze al di fuori dell’Europa l’Italia dovrebbe guardare più alla Cina. Mentre solo per il 30% lo sguardo dovrebbe essere volto verso Washington. La preoccupano questi numeri?

Ci preoccupano molto e ci danno ancora più forza per contrastare le influenze cinesi. Come ce le danno le parole dei cardinali Charles Maung Bo e Joseph Zen Ze-Kiun che si sono spesi in ogni modo per denunciare il regime comunista cinese. Non possiamo dimenticare che l’Occidente ha vinto la battaglia contro l’Unione Sovietica anche grazie all’appoggio della Chiesa. Dovremmo seguire l’esempio di San Giovanni Paolo II che ha combattuto il comunismo. Oggi non possiamo tacere su quello che il regime di Pechino fa contro soltanto i cattolici, altre minoranze come gli uiguri e a Hong Kong. 

Abbiamo visto che la Rai ha offerto molta più visibilità agli aiuti cinesi rispetto a quelli statunitensi. Come mai secondo lei? Secondo Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza Rai e deputato di Italia Viva, è un problema di qualità del servizio pubblico prima che politico. 

La qualità della Rai potrebbe sicuramente essere migliore ma dal punto di vista della politica estera la situazione è drammatica. Assistiamo a una sorta di pravda di Pechino. Ciò rappresenta un grande problema per la nostra democrazia perché conosciamo bene quale sia l’importanza dell’informazione libera in un sistema democratico. Altrimenti rischiamo di finire come la Cina dove i giornalisti sgraditi spariscono o vengono cacciati come accaduto recentemente ai reporter di alcune testate statunitense.

L’Italia è vittima della propaganda cinese?

Vittima ma anche complice, visto che abbiamo il governo più filocinese di tutto l’Occidente come dimostrano i molti viaggi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Pechino, le tante visite dei leader del Movimento 5 Stelle all’ambasciata cinese a Roma ma anche le grandi celebrazioni che hanno fatto i pentastellati di questi aiuti. Su cui, tra l’altro, ci sono diverse ombre circa qualità e prezzi.

Che prezzi?

Non soltanto quelli economici ma anche e soprattutto quelli politici, pensiamo al 5G e alla nuova idea di Pechino cioè la Via della Seta della Salute. Perché sappiamo bene che nella società digitale di oggi dalla difesa dei dati passa la difesa delle libertà. Se cediamo il controllo dei dati a un Partito comunista, perché di questo stiamo parlando, non saremo più liberi. Sarebbe una prima breccia del muro della democrazia. E per citare Karl Popper, la società aperta è aperta a tutti tranne che agli intolleranti: chi non accetta la democrazia non può controllare i dati di una democrazia.

Esistono aiuti disinteressati?

No, non esistono. E nel caso cinese abbiamo visto movimenti attorno alla nostra Borsa e la decisione di molti grandi gruppi cinesi di investire pesantemente in Europa proprio in questa fase di crisi sanitaria ed economica. Inoltre, gli aiuti di Pechino servono come cover-up dell’origine del virus per far credere che la Cina – il Paese che reagendo con tre settimane d’anticipo rispetto a quanto fatto avrebbe potuto evitare il 95% dei contagi al mondo intero come ha rivelato uno studio dell’università di Southampton – sia oggi il salvatore dell’Italia. Il tutto con la sponda di questo governo. 

Qual è l’obiettivo dell’offensiva cinese sull’Italia?

È evidente che non sia volta soltanto a rendere simpatico il regime cinese nel nostro Paese. Ma è volta a preparare il terreno a una guerra di conquista economica, commerciale, finanziaria e industriale.

C’è il rischio di uno spostamento dell’Italia sullo scacchiere internazionale? 

La Lega ha più volte avvertito del rischio di uno spostamento del baricentro geopolitico del nostro Paese, dalla Nato (che già dal summit di Londra a dicembre ha dato segnali di risveglio individuando nella Cina la principale minaccia) al rapporto stretto con gli Stati Uniti che da oltre 70 anni ci garantiscono pace e prosperità. Nell’autunno scorso durante un’audizione in commissione Esteri, il ministro degli Esteri ha risposto a una mia domanda sulla collocazione internazionale dell’Italia sostenendo che l’alleanza con gli Stati Uniti non ci deve impedire di guardare a nuovi alleati. Cioè Cina e Iran, che sono gli epicentri asiatico e mediorientale del coronavirus: a tal proposito mi permetto di chiedere, dove vogliamo andare con alleati del genere?

Allarghiamo lo sguardo al mondo. Il presidente Donald Trump accusa l’Organizzazione mondiale della sanità di essere filocinese. Ma ciò non è accaduto anche perché Washington ha dimenticato le sedi del multilateralismo?

Dipende da cosa si intende con dimenticare visto che di tutte le agenzie dell’Onu gli Stati Uniti sono i principali finanziatori. E nel caso dell’Oms la contraddizione è ancora più forte con i vertici dell’organizzazione che elogiano il modello cinese e si rifiutano di parlare di Taiwan per non irritare Pechino. Non è un caso se il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom, proviene dell’Etiopia, dove ha sede l’Unione africana il cui complesso è stato costruito con finanziamenti del governo cinese che ha in mano anche le infrastrutture e le telecomunicazioni di quel Paese. Lo stesso accade in molti Stati africani e ciò pone un grosso problema nelle sedi del multilateralismo.



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