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(Com)prendere il comune

Immaginare un progetto di civiltà significa, per chi scrive, guardare dentro/oltre la temporalità cronologica nel nostro particolare.

Ciò implica che il tempo e lo spazio nei quali la nostra vita evolve caratterizzano ma non limitano la vita stessa. Perché, al di là del noi-nel-mondo e del mondo-in-noi, si tratta di mediare tra il particolare e il globale, cercando di (com)prendere ciò che ci tiene insieme in quanto differenti.

Questa è l’anima della nostra ricerca, (com)prendere il “comune”

(Com)prendere spiega il nostro approccio: non è solo un comprendere razionale, pur se necessario. C’è altro, nel comune, e vogliamo scavarci dentro per (ri)scoprire (scoprire continuamente) il nostro oltre. È nello stesso (ri)scoprire che vediamo quanto lo scavare non finisca mai, ci vincoli a continuare, a lavorare nel mistero-che-siamo in quanto persone e in quanto umanità.

Se fosse solo un comprendere basterebbe scrutare la realtà in superficie e credere in base all’evidenza. Se ciò che vediamo non è ciò che è, cos’altro dobbiamo vedere e con quale occhio ?

Andando nel dentro/oltre, semi di futuro (già) nel presente profondo, l’ approccio deve cambiare e aprirsi, allentare la presa delle catene che ci legano alle nostre certezze non per negarle ma per sentire l’alterità, la presenza di ciò/chi ci supera, parte di noi – della nostra esperienza – che ancora non conosciamo.

La superficie evidente porta dentro un mondo di possibili emergenze

Per (com)prendere in noi l’emergente, l’esercizio necessario è di “attivare” l’occhio “mistico”, talento tutto umano dello scavare. L’altro, l’umanità, il mondo e il cosmo rappresentano la nostra emergenza.

Ciò che (ci) va oltre, ma che appartiene alla nostra stessa vita,  ci chiama in causa, ci relativizza, ci problematizza. Mai, come nel tempo che viviamo, tutto questo ci mostra la nostra vocazione umana alla “responsabilità complessa”.

È qui, in questo esercizio responsabile, che il comune – non “nostro” come bene privato o dello Stato (di tutti) come bene pubblico ma di nessuno e di tutti – diventa segno della inter-in-dipendenza tra i tempi della nostra vita, tra il qui-e-ora e l’eterno, tra il locale e il globale, tra l’autorealizzazione e il bene comune.

Ben si comprende, da queste poche parole, che si apre una sfida infinita, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, non per sognare il migliore dei mondi possibili ma per (ri)pensare insieme un progetto di civiltà a partire da un realismo progettuale, complesso, mistico (razionalmente profondo). Nel comune, s’intende.

(Professore di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)

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